Argenti perduti

ARGENTI PERDUTI

Dalle collezioni di Mons. Costanzo Patrizi

Nel 2015 pubblicai, in questa stessa rivista, gli inventari degli argenti e delle gioie acquistate da Mons. Costanzo Patrizi.[1] L’inventario degli argenti fu redatto dallo spagnolo Ferrandino Velasco e dall’argentiere  Raffaele Gallestruzzi che, come si vedrà di seguito, aveva realizzato buona parte dell’argenteria di casa Patrizi. Mentre quest’ultimo è tra gli argentieri più noti della prima metà del Seicento, lo spagnolo, forse anch’egli argentiere, è invece sconosciuto; non è escluso che fosse un artigiano non patentato, attivo nella bottega del Gallestruzzi. Il lungo elenco comprende sia oggetti di arredo che piatti e stoviglie in gran quantità, dimostrando che tutta l’argenteria della casa fu commissionata da Mons. Costanzo. Di questa roba non si è conservato neanche un oggetto ma la descrizione inventariale e le stime permettono di ampliare la conoscenza dell’arte orafa e argentaria a Roma, nel primo quarto del secolo. Nel citato elenco tuttavia non sono riportati i nomi degli argentieri e degli orafi ad eccezione di quello del grande maestro Antonio Gentili da Faenza, attivo a Roma dal 1561 al 1609, autore di un boccale di argento indorato di 6 libre, stimato 129,46 scudi, probabilmente acquistato dal padre Solderio Patrizi. Il recente ritrovamento nell’Archivio Storico Capitolino (d’ora in poi ASC) di alcune carte contenenti i nomi degli autori ed i prezzi pagati dal committente documentano oggi, anche se non completamente, un aspetto, decisamente interessante, del vasto mercato di questo settore a Roma. Ad esempio si nota che Mons. Patrizi commissionò direttamente gli oggetti di cui necessitava, senza acquistare pezzi  già presenti nelle botteghe romane di via del Pellegrino. Confrontando l’inventario citato con le opere commissionate negli anni 1615- 1623, si nota che queste ultime sono di molto inferiori a quelle citate nell’inventario. Le cifre pagate poi soltanto qualche volta corrispondono alle stime inventariali. Ciò fa suppore che i costi di produzione siano documentati solo in parte. Dalla lettura dell’inventario si viene a conoscenza che, su molti degli argenti commissionati, il Tesoriere aveva fatto apporre il suo stemma. Inoltre si apprendono i nomi delle svariate tipologie di opere che formavano il << servito da tavola>>, per cinquanta commensali tra <<piatti tondi, scodelle, sottocoppe,  piatti reali, panettiere, saliere, guantiere, piatti mezzani e boccaletti>>. Quanto alla posateria vi erano <<cucchiaroni, trincere, cucchiai, forcine e coltelli>>. Questo servizio superava da solo il costo di 1000 scudi. Comunque le valutazioni dei singoli pezzi sono sempre molto alte, messe a confronto, ad esempio, con quelle dei quadri e delle sculture acquistati negli stessi anni, anche perché incideva non poco il peso del metallo prezioso che, non a caso, è riportato con precisione nelle stime. Il primo contatto con la bottega Gallestruzzi è documentato nel 1601 quando il nome di Raffaele Gallestruzzi è citato in una <<declaratio >>.[2] L’anno successivo troviamo un << compromesso>> ed una <<obligatio>> nei quali compare il nome di Girolamo Gallestruzzi, maestro argentiere padre del nostro. Sempre nel 1602 si legge: “Gironimo Gallestruzzi, una volta marito della q. Lisabetta absente, [riceve] scudi 375 “per i quali il figlio <<emanavit>> una ricevuta. Quanto detto documenta che il rapporto con questa bottega risale già al tempo di Solderio. [3] Ancora nei primi anni del secolo sono citati i nomi di due artigiani poco noti Ludovico Bracci, attivo dal 1589 al 1609, <<aurifex>> che nel 1604, insieme al suo socio Orazio Nazzari (attivo dal 1589 al 1609) <<sociis aurifices>>, all’insegna della Fontana, con bottega in via del Pellegrino, che eseguono pezzi meno importanti.[4]

Da queste prime date si passa quindi al 1615 quando, morto Solderio, subentra come capo famiglia, Mons. Costanzo. Il 6 luglio 1615 si danno <<scudi 2,50 a Giulio Gattoli per haver coperto una cassa da bacile e boccale di velluto rosso, come per sua ricevuta>>.[5] Sempre nello stesso anno il Tesoriere commissiona all’orefice francese Elia Colombo (Coullon), attivo a Roma negli anni 1615-1616, un anello d’oro per il quale emette fattura il 26 ottobre 1615: << Io Elia Colombo orefice francese ho ricevuto da Mons. Patrizi Tesoriere di N.S. per mano del Sig. Vincenzo Fantuzzi, suo servitore, scudi ottanta moneta per il prezzo di un cerchietto di diamanti venduto a S.S.Ill.ma, et in fede del vero ho scritto et sottoscritto la presente. Io Elia Colombo mano propria>>.[6] Nel 1617 il Tesoriere ordina a Raffaele Gallestruzzi una crocetta d’oro per tenere le reliquie <<servì a Suor Costanza Felice monaca a S. Caterina da Siena>>, al prezzo di scudi 4,50. A fine anno si paga <<m.o Francesco de Santis ottonaro in Borgo a bon conto di lavori fatti per servizio di Mons. Ill.mo Patrizi>>. Questo artigiano lavora ancora per i Patrizi negli anni 1618-1619 e nel 1624 riceve un pagamento di scudi 132 <<per il Monte di Pietà per resto e saldo di robe date per servizio della bona memoria di Mons. Patrizi>>. Con lui lavora Vincenzo de Santis suo padre o fratello.[7] Qualche mese dopo si ricorre ad un argentiere fiammingo Cristoforo Bussi (Christofer Busch) attivo a Roma negli anni 1605-1615, con bottega al Pellegrino <<per resto di un conto di vasi di pasta fatti per Mons. Ill.mo>>. In pratica è pagato scudi 16,20 << per resto di cinque vasi di paste, coperti di rame inargentato e indorato>>.[8] Questa commissione documenta che lavorava ancora nel 1617.

Il 6 luglio 1617, nelle <<uscite>> si legge uno strano appunto <<scudi 50 a Vexgelo Jannizzer fiamingo>>. Il nome corretto del famosissimo orafo tedesco è Wenzel Jamnistzer (1508-1585). Ora bisogna capire come un oggetto realizzato da lui, attivo a Norimberga con opere di grande rilevanza, destinate a tutte le più importanti corti europee, si trovasse a Roma poiché è certo che il maestro non sia venuto mai in Italia. Potrebbe ipotizzarsi che fosse opera del figlio Christofer (1563- 1618) che comunque si trovasse sul mercato romano, magari sotto il nome del padre. Nel Museo Diocesano di Milano si conserva un’anfora a lui attribuita. Il fatto che la citazione d’archivio non nomini l’oggetto, rende praticamente impossibile dire di più. Wenzel Jamnistzer apparteneva ad una famiglia di orefici di Vienna: figlio di Hans, Wenzel lavorò col padre e col fratello Alberich; a metà Cinquecento fu nominato capo della Zecca di Norimberga, città nella quale si era trasferito. Sembra che nella sua bottega impiegasse due assistenti Jacopo Strada e Mathias Zundt. A lui si deve anche un autorevole libro di disegni per orafi raffiguranti, tra l’altro, piccoli gruppi scultorei, sul genere delle opere di Gian Bologna, al quale nell’inventario del 1624, nell’elenco dei metalli, è attribuito un gruppo scultoreo raffigurante <<due figure di metallo alte circa tre palmi e mezzo di mano di Gio. Bologna, una d’una Diana con una cerva, et suo circasso, et l’altra di un Adone con un cane et testa di cinghiale a piedi, con suo piedistallo di legno tutti ornati con figure di rilievo>>, stimata 340 scudi.[9]

A gennaio del 1618 il Tesoriere versava 100 scudi a Raffaele Gallestruzzi <<a bon conto di quello deve avere da Mons. Ill.mo, come per sua ricevuta>>; seguiva un altro acconto di scudi 121,84 <<per vari utensili d’argento>>; per tutto l’anno l’argentiere ebbe altri acconti per un totale di scudi 744,47. Purtroppo la citazione inventariale è troppo generica per sapere quale fosse l’oggetto della commissione. Si può ipotizzare che avesse cominciato ad eseguire il servizio da tavola. L’argentiere fiorentino   lavorava col padre   e poi con un fratello, tutti e tre attivi per il Tesoriere. Raffaello, il più celebre, attivo dal 1601 al 1641, ebbe una lunga carriera di ben quaranta anni, durante i quali  lavorò per i Sacri Palazzi Apostolici (piatti da tavola nel 1620 e torcieri d’argento nel 1622) e per la Camera Capitolina, fornendo sia pezzi importanti che i soliti calici che il Campidoglio donava ogni anno alle chiese di Roma.  All’inizio aveva lavorato come garzone presso il famoso Pietro Spagna (1596-1599)  dimorando in casa di Giacomo Filippo Canneti, con cui collaborava nella bottega di via del Pellegrino. [10] Questo argentiere era direttamente noto al Tesoriere al quale aveva venduto una statua antica. Mentre a Raffaello Gallestruzzi vengono commissionati i lavori più importanti, come documentano le ricevute di pagamento, al <<magnifico>> Fantino Taglietti,  sicuramente l’argentiere più ricercato del momento, si ordina soltanto uno <<scaldaletto>>, pagato 85,70 scudi, come da sua ricevuta del 9 ottobre 1619, stimato poi nell’inventario del 1624 scudi 87.[11] Al Taglietti è dedicato un approfondito studio di Valentina Gazzaniga, dal quale si conosce la sua vasta attività e le numerose commissioni soprattutto da parte della famiglia Barberini, quelle per servizi da tavola per la Camera Capitolina(1623-1624) nonché  i consueti calici che il Comune regalava  annualmente alle chiese di Roma (1637-1645).  L’argentiere aveva bottega a via dei Cappellari, dove aveva iniziato a lavorare prima ancora di aver ottenuto la patente. Sebbene considerato sempre un valente argentiere, tuttavia le sue opere più famose si datano al secondo quarto del Seicento e, fortunatamente molte sono tuttora esistenti.[12]

Altri documenti testimoniano che il Tesoriere e Raffaele Gallestruzzi avevano un rapporto particolare poiché quest’ultimo vende più volte della <<biada fattaci venire da Vicovaro>> al Patrizi, luogo dove evidentemente l’artigiano aveva degli appezzamenti di terreno.[13]

Il 27 luglio 1618 compare il nome dello sconosciuto argentiere Alessandro Lachi al quale si pagano scudi 104,47 <<per resto di argenti>>; contemporaneamente si danno 20 scudi a M.o Luigi Spadaro << per la doratura di quattro candelieri indorati per la cappella di Monsignore>>.  Il 18 ottobre si danno 14 scudi a Raffaele Gallestruzzi <<per la valuta di un Christo con la croce e monte di ebano, mandato a Siena per la signora Agnese>>.[14] Tra i documenti ritrovati compaiono talvolta regali a personaggi di Siena a dimostrazione che i rapporti del Patrizi con la città natale sono costanti.

A settembre del 1619 il Tesoriere commissiona all’orefice Giovanni cento e Settecento, aveva lasciato l’oreficeria per dedicarsi all’incisione e alle medaglie.

Tornando al reliquiario si incontra un altro orafo Gerolamo Donati, attivo dal 1589 al 1630, con bottega <<in Banchi>> e casa in via del Pellegrino, il quale riceve 39 scudi <<per prezzo di certe gioie messe in opera per un fiore di un reliquiario>>.[17] Nel 1589, quando si era patentato, aveva ereditato i beni dell’argentiere Antonio Arrighi; successivamente aveva fatto società con Giovanni Battista Castrucci. Nel 1620 è ancora al lavoro Raffaele Gallestruzzi che riceve 100 scudi <<a bon coTommasini un prezioso reliquiario, anticipandogli 30 scudi a <<bon conto di lavori fatti e da farsi a un reliquiario di cristallo di montagna>>. Poco dopo riceve altri 20 scudi <<di lavori fatti d’argento intorno a un reliquiario>>; il lavoro continua e Tommasini riceve altri 90 scudi, sempre per il reliquiario. A gennaio del 1620 si pagano 15 scudi allo sconosciuto orefice <<Giovanni tedesco>> probabilmente bavarese <<a bon conto della fattura d’un fiore commesso di gioie da mettere sopra il reliquiario>>. Infine riceve altri 37 scudi ed un saldo di scudi 52 per oro e manifattura per il reliquiario.[15] Potrebbe trattarsi dell’orefice di Joann Hameranus Kircher, nato nel 1590, attivo a Roma dal 1616 al 1635. Nel periodo 1621-1622 lavora per i Sacri Palazzi Apostolici. L’artigiano aveva bottega a via del Pellegrino.[16]Se è lui il <<Giovanni tedesco>> allora si deve dire che la famiglia Hamerani, attiva poi a Roma nel Seinto di lavori d’argento che fa per suo servizio>>, in due volte. A marzo si specifica che si danno scudi 70, ancora <<a bon conto di cavalli d’argento fatti per S.S. Ill.ma>>.[18]

L’anno successivo sempre il Gallestruzzi riceve dal maestro di casa di Mons. Tesoriere <<tazze d’argento e 12 piatti diversi per farne tante scudelle per detto Mons. Ill.mo>>. Il documento conferma la mia ipotesi che a questo argentiere si deve la realizzazione del magnifico <<servito da tavola>>, ricordato nell’inventario. A maggio del 1621 ha, per le mani del fratello del Tesoriere Francesco 300 scudi << a bon conto di un fochone d’argento da farsi ovato>>, così citato nell’inventario <<un fochone o braciere d’argento con li sua manichi et piedi a zampa di leone, di peso libre 31, denari 8 ½, a scudi 11 la libra, scudi 349,13>>. Infine negli anni 1619-1621 risulta aver incassato un totale di scudi 2.019, 70.[19]

Dopo la morte del Tesoriere i primi giorni di gennaio del 1624, si trovano i primi pagamenti per i debiti da lui contratti, che vengono gestiti dal fratello Francesco Patrizi.

Il 26 marzo 1624 si danno scudi 48,28 <<a M.o Ambrogio Lucenti argentiere>> attivo dal 1622 al 1656), ma non patentato <<per resto di scudi 88,28 che doveva avere dalla b.m. di Monsignore suddetto, cioè per un bacile>>.[20] Di questo argentiere si hanno poche notizie, sappiamo tuttavia che, come stimato fonditore, lavorò per il Bernini all’altare di S. Pietro in Vaticano e realizzò anche argenterie per i Sacri Palazzi Apostolici.

Contemporaneamente si saldava il debito di 57 scudi con Raffaele Gallestruzzi <<per il Monte di Pietà per resto e intero pagamento di tutto quello che doveva il sopradetto monsignore per argenti e fatture fatte>>.[21]

A maggio è citato per la prima volta il famoso orefice Giulio Montefiori che, sempre tramite il Monte di Pietà, riscuote un saldo di scudi 318,30, per i quali emette fattura. <<Io Giulio Montefiore ho ricevuto dall’Ill.mo Sig. Francesco Patrizi scudi trecento diciotto e bolognini 30 in un ordine al Monte di Pietà che sono per saldo del sopradetto conto et di quanto ho hauto che fare con la b.m. di Monsignore et in fece ho fatto la presente questo dì 25 maggio 1624>>.[22] Giulio Montefiori, orefice romano, fu attivo dal 1598 al 1632, con bottega in via del Pellegrino, all’insegna di <<Milano>>, in società con P.P. Scacciati. Dal 1619 ha una bottega per suo conto all’insegna di <<Venezia>>. Non si conoscono suoi lavori, risulta tuttavia che per il Tesoriere aveva realizzato i gioielli più importanti: <<un centiglio per cappello con 105 diamanti legati in oro scudi 350>> ed un <<gioiello grande tutto pieno di diamanti piccoli e grossi, senza numero, legati in oro>>.[23]  A lui si deve la stima inventariale delle <<gioie>> Patrizi, stilata insieme a Ferrandino Velasco.

All’0rafo Cristoforo Pescatore, nome italianizzato per Fischer, originario di Augusta, attivo a Roma negli anni 1617-1626, ma a Roma dal 1604, si danno 20 scudi <<tanti per chiodi dati a Mons.re>>. Gli oggetti citati dovrebbero essere delle puntine o piccoli bulloni con stemma della casa, usati per fermare la stoffa delle poltrone, come si deduce dalle descrizioni inventariali.

Fischer risulta lavorare in società con Bartolomeo Anselmi <<orefice teutonico all’insegna del Cavallo>>, con bottega a via del Pellegrino, dal quale eredita il bollo. Negli anni 1624-1625 è soprastante alla Zecca; nel 1623 risulta aver realizzato gioielli per i Sacri Palazzi Apostolici.[24]

Ancora nel 1629 si ha un pagamento di scudi 135 ad Annibale Serena <<per prezzo di un secchio e boccia d’argento>> da identificare forse con <<un bacile et un boccale d’argento indorati et figurati tutti pesano libbre 10, once 1, denari 12, a scudi 13 la libbra, scudi 131,62>>. Sempre nel 1629 il Serena riceve scudi 170,80 <<per tanti argenti>>.[25] Nel 1627 si trova il nome di Pierfrancesco Gallestruzzi, cugino di Raffaele al quale Francesco Patrizi anticipa 40 scudi <<a bon conto di una statua d’argento che faceva per S.S. Ill.ma>>. Nel 1631 l’argentiere emetteva ricevuta per altri 30 scudi, sempre <<a bon conto>>.  Già nel 1628 era citato un mandato di 100 scudi allo stesso. Non è stato possibile stabilire tuttavia se sia un vecchio debito del Tesoriere o una nuova commissione del fratello Francesco, poiché la statua in argento elencata non è presente nell’inventario del 1624. In questo stesso anno si trova <<un ordine a Raffaele Gallestruzzi di scudi 300 a bon conto dei torcieri d’argento>>, pezzi che già compaiono, in numero maggiore, nell’inventario del 1624. Due anni prima Raffaele Gallestruzzi emetteva fattura di scudi 23 a Francesco Patrizi <<per resto del prezzo di una guantiera di argento avuta da botega mia>>.[26] Nell’inventario del 1624 ne sono elencate due in argento dorato” et lavorate con suoi piedi a vite” stimate scudi 64,65 e <<una guantiera grande d’argento tutta lavorata et indorata con figurine, scudi 63,75>>.

Come si evince da quanto scritto, il confronto con le opere elencate nell’inventario post mortem del Tesoriere è estremamente limitato, tuttavia sono interessanti, per la storia dell’argenteria romana, i documenti del primo quarto del Seicento dove sono citati non solo grandi artisti con le loro opere, ma anche alcuni artigiani sconosciuti al Bulgari, che quindi si possono aggiungere agli argentieri attivi a Roma in questo periodo.

 

ANNA MARIA PEDROCCHI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] A.M. Pedrocchi, Collezionismo Minore, in Rassegna degli Archivi di Stato, gen-dic, 2015, pp 73-79
[2] Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi ASR) TNC, uff. 2, vol. 47, c.456
[3] Idem, vol.48, cc 213, 258; vol. 49, c. 214
[4] C. Bulgari, Argentieri, Gemmari, Orafi  d’Italia, ROMA, Roma 1958 (d’ora in poi Bulgari), Bulgari, ROMA, I, 1, p. 207; ROMA, I,2, p. 196; ASR, TNC, uff. 2, vol. 52, c.188
[5] Archivio Storico Capitolino (d’ora in poi ASC), Patrizi t.1, Entrate e Uscite 1614-1615, c. 66v
[6] ASC, Patrizi t.28, Casa Patrizi per Caterina Pinelli, 1616-1653, ( carte non numerate), Bulgari, ROMA, I,1, p. 311
[7] ASC, Patrizi t.3, Debitori e creditori, 1617-1623, cc. 109v-110r
[8] ASC, Patrizi t. 3, Debitori e creditori, 1617- 1623, cc. 43r,49r; citato da Bulgari, ROMA, I,1 ,p. 220
[9] ASR, TNC, uff. 2, vol. 92, cc. 395v-396v. Per l’attività di Jamnistzer si veda H. Honour, Orafi e Argentieri, Milano 1972
[10] ASC, Patrizi t. 2, Entrate e Uscite 1615-1619, c. 63v. Bulgari, ROMA I,1, p. 488, bollo n. 544= uno struzzo con le iniziali.
[11] ASC, Patrizi t. 28, Casa Patrizi per Caterina Pinelli, 1616-1653 (carte non numerate).
[12] Gazzaniga Valentina, Fantino Taglietti. La vita e le opere di Fantino Taglietti argentiere e altri protagonisti della produzione argentaria a e nel Lazio tra Cinquecento e Seicento, in A. Di Castro, P.Peccolo, V.Gazzaniga, Marmorari e argentieri a Roma e nel Lazio tra Cinquecento e Seicento, I committenti, i documenti, le opere, Roma 1994, pp.223-286.
[13] Durante l’estate si susseguono diversi pagamenti per la biada per un totale di scudi 197,40. ASC, Patrizi t.2, Entrate e Uscite 1615-1619, cc. 73v-74r,76v,77v.
[14] ASC, Patrizi t.3, Debitori e creditori, 1617-1623, cc. 82v,83 v, 97r.
[15] Bulgari, ROMA, I,1, 89.
[16]  Bulgari, ROMA I,2, p. 471; ASC, Patrizi t 3, Debitori e creditori 1617-1623, c. 97 r.
[17]  ASC, Patrizi t.28, Casa Patrizi per Caterina Pinelli 1616- 1653, (carte non numerate) : Bulgari, ROMA, I, 1, pp. 410-411
[18]  ASR. TNC, uff. 2, vol.92, cc. 397r-401r
[19] ASC, Patrizi t.28, Casa Patrizi, 1616-1653, (carte non numerate)
[20] ASC, Patrizi t.7, Libro dell’eredità 1624-1625, cc. 59v e 60v
[21] ASC, Patrizi t. 26, Scritture con istromenti per Caterina Pinelli, 1599-1647, c. 13v
[22] ASC, Patrizi t.7, Libro dell’eredità 1624-1625, cc. 62r, 94r. Bulgari, ROMA, I,2, p. 166
[23] ASR, TNC, uff. 2, vol. 92, cc. 401 v, 402 v.
[24] Bulgari, ROMA, I,2, p. 447
[25]ASR, TNC.uff.2, vol.92, Inventario argenti 1624, cc.397r-401r.; ASC, Patrizi t.26 , Scritture con istromenti per Caterina Pinelli 1599-1647, c. 21v
[26] ASC, Patrizi t. 26, Scritture con istromenti per Caterina Pinelli 1599-1647, c.25v