Clusone: il salotto estivo della contessa Clara Maffei

In onore di Maria Rosa Giudici

Anna Maria Pedrocchi

Che la gentildonna bergamasca Clara Maffei (1814-1886) tenesse nella sua casa di Milano il più famoso salotto letterario   politico d’Italia nel XIX secolo, è noto a tutti. Di lei è stato scritto molto non soltanto per esaltare la sua figura di donna colta, ma soprattutto per le tante personalità del Risorgimento italiano che frequentarono con assiduità la sua casa milanese.

Pochi sanno invece che la contessa a fine luglio, lasciava Milano per trasferirsi, fino a tutto ottobre, nel suo bel palazzo di Clusone con l’intento di riposare e di ospitare gli amici più intimi. Qui, in alcuni ambienti, si conservano tuttora i ritratti di alcuni suoi amici e frequentatori anche del salotto milanese (1834-1886). Correva allora nei salotti la moda degli album sui quali ogni scrittore, artista, musicista o uomo politico, doveva scrivere un pensiero o apporre un suo ritratto[1]. Non c’era personalità che passando da Milano non visitasse il salotto, lasciando una dedica, un disegno, un ritratto. Come si nota in una stampa ottocentesca raffigurante gli ambienti di ricevimento, tutte le pareti erano piene di questi “ricordi”. Li menziona ancora il Barbiera, suo primo biografo: “sono due sale…addobbate con velluti scuri, specchi di Venezia, quadri a olio di Hayez, incisione del Calamatta e ritratti di amici”. Purtroppo, mentre della maggior parte di queste testimonianze si è persa traccia, nella casa di Clusone invece ne rimangono alcune cui voglio dedicare attenzione.

I ricordi più antichi sono tre piccole tele ricamate, due delle quali realizzate a piccolo punto (cm 14 x 22) di certo della madre della contessina, Ottavia Gambara (1796-1826). E’ noto che alle fanciulle di buona famiglia veniva insegnato il ricamo il cui soggetto in genere rappresentava fiori o soggetti bucolici; viceversa, in uno di questi Ottavia ha ricamato una stele con la lettera “N” entro una corona di alloro sormontata da una fiamma e circondata da alberi, a significare gli anni di gloria di Napoleone.

Il secondo ricamo mostra ancora una stele affiancata da salici piangenti e sormontata dall’aquila imperiale, ma con la scritta “Il est mort”. Entrambi devono essere considerati rari esempi di lavori femminili influenzati dall’atmosfera, piena di speranze, dovuta alla discesa dell’imperatore in Italia ed alle leggi “liberali” da lui propugnate; pertanto, come tali, testimoniano una rarissima e interessante traccia del pensiero di quella parte della popolazione lombarda che aveva accolto trionfalmente il generale francese nella sua campagna d’Italia. Ottavia era una giovane donna che apparteneva alla nobiltà bresciana filonapoleonica; anche suo padre, Francesco Gambara, si segnalò a Brescia per il suo ardore a favore della Repubblica Cisalpina, recando, come maggiorente della città, la nomina a Presidente della Regione Cisalpina a Napoleone.  Nel 1807 la nobildonna aveva sposato il conte Giovanni Battista Carrara Spinelli (1779-1842) poeta e pedagogo di Casa Litta a Milano, politicamente anche egli filonapoleonico. Sono proprio queste motivazioni a rendere plausibile l’attribuzione dei due ricami a Ottavia, basata anche sulle memorie della famiglia: la prima, datata 16 settembre 1820, la seconda databile quindi con certezza a entro il 1821, anno della morte del Bonaparte all’isola di Sant’Elena[2].

Un terzo quadretto ricamato (cm 9 x 13), ma diverso nella fattura e nello stile, mostra invece un soggetto di non facile interpretazione: raffigura l’Eterno come una stella raggiata che sormonta una figura allegorica femminile (la Chiesa?) inginocchiata in preghiera piangente davanti ad un libro, mentre a terra giacciono un teschio e una croce simboli di morte calpestati dalla Guerra; la donna, simile nell’iconografia alla Maddalena, guarda all’iscrizione “Dieu et Foi”. La tela ricamata reca una firma e una dedica: “Juliette a Claire”. L’autrice è Juliet Colbert de Monlevrier (1785-1864) moglie del marchese Falletti di Barolo, amico di Bonaparte e Cavour. Con il matrimonio Juliet, naturalizzata italiana, si dedicò alle opere di beneficenza in larga scala. Ella apparteneva ad una nobile famiglia vandeana ed era pronipote di Jean-Baptist, ministro del Re Sole. Bella, colta e raffinata, durante la Restaurazione fu accolta alla corte di Napoleone, che le presentò il marito. La coppia si era trasferita a Torino dal 1814 dove continuava a interessarsi ai problemi dei più indigenti e dei carcerati, tanto che nel 1821 il marchese si dedicò ad una riforma carceraria[3]. Purtroppo non sappiamo a quando risale il legame tra le due donne, sicuramente amiche, ma è possibile ipotizzare che si fossero conosciute tramite Carlo Tenca, un amico del marito. Non siamo di fronte ad un’opera d’arte ma ad un raro cimelio di mano della contessa di Barolo, tra le più famose del Risorgimento per la sua filantropia cristiana, espletata con la fondazione di chiese, oratori, scuole per fanciulle povere. Non è escluso che il quadretto in oggetto sia legato alla fondazione dell’Istituto Sorelle Penitenti di S. Maria Maddalena, fondato nel 1833. Ipoteticamente può datarsi negli anni ’30.

Ma torniamo a Clara che, alla separazione dei genitori, nel 1818, fu messa in collegio a Verona; qui conobbe e si legò di amicizia con Teresa Papadopuli, figlia della contessa Mosconi, che abitava in palazzo Foresti Papadopuli al Sestiere di Santa Croce. Di lei Clara scriveva: “era più di una sorella per me”. Nell’estate del 1842 Clara fu sua ospite a Venezia: di quei giorni felici ella conservò una stampa in cui è ritratta insieme all’amica; sul retro di suo pugno scrisse: “Il primo ritratto di donna a sinistra di chi guarda è quello della contessa Papadopuli ed il secondo è il mio”. Successivamente il padre la spostò a Milano nell’Istituto di Madame Garnier, per signorine di buona famiglia, da cui uscì per sposare Andrea Maffei.

Se ne salotto milanese della Maffei passarono i più grandi nomi della cultura e della politica italiana, a Clusone la situazione era completamente diversa: qui la contessa veniva per riposare nel luogo in cui poteva ritrovare pace e serenità; in proposito era solita esclamare: “Quanto ho ragione di amare questi monti!”.

Nella casa di Clusone si conserva tuttora il delizioso ritratto ad acquerello di Clara bambina databile circa al 1820-1821, nel triste momento in cui i genitori si dividevano. Sebbene già noto, ritengo di poterlo attribuire a Giovanni Carnovali, detto il Piccio (1804-1873); forse tra le opere prime dell’artista bergamasco, è stilisticamente confrontabile con alcuni suoi ritratti di bambini, tutti di aspetto malinconico, di tono garbatamente crepuscolare. E infatti la graziosissima bambina è effigiata di tre quarti, con indosso un vestitino, tipico della moda stile Impero, diffusa ancora in quegli anni; nella mano destra tiene un rametto di rose rivolto verso il basso, segno di tristezza e malinconia[4].

Il primo ritratto di Clara ventenne risale al momento in cui sposò Andrea Maffei il 10 marzo 1832, al quale ne fece dono[5].La giovane portava una dote di 120.000 lire, molto apprezzata da Andrea per la precarietà delle sue risorse finanziarie e per il cronico vizio del gioco. A Milano gli sposi si stabiliscono in un appartamento in via dei Tre Monasteri (più tardi via del Monte di Pietà), a piano terra, prospicente la strada, di un palazzo signorile.

 A Bergamo in collezione privata (Eredi di Federico Giudici) si conserva   tuttora il bel ritratto ovale che ritrae Clara a mezza figura, realizzato da Hayez intorno al 1845.  E’ il secondo ritratto eseguito dal celebre pittore che solitamente, entrato in amicizia con la contessa, passava tutte le sere a farle visita di ritorno dal suo studio in casa Repossi. A Clusone si conservano altri suoi ritratti: uno anonimo, presso le Scuole di Clusone da lei fondate. Anche questi ritratti mostrano la costante vena malinconica del suo carattere, di certo dovuta agli eventi familiari. Nonostante il matrimonio fosse già in crisi nel 1842, la separazione definitiva avveniva nel 1846 ed ebbe come testimoni Giulio Carcano e Giuseppe Verdi, cui si aggiunse il notaio Tommaso Grossi che riuscì a trovare una formula per salvaguardare gli interessi di Clara, lasciandola libera di disporre delle sue sostanze. Su consiglio dell’amico Verdi, al ritorno a Milano, Clara affittava provvisoriamente un appartamento alla “Bella Venezia”, prima di stabilirsi definitivamente nella casa di via Bigli.

 Dopo la morte del padre nel 1842 e la successiva separazione dal marito (1846), Clara visse una posizione irregolare dovuta alla sua relazione con Carlo Tenca, che le restò amorevolmente accanto per quasi tutta la vita.  Rimasta senza eredi, ella non aveva più interesse a conservare l’ingente patrimonio Carrara Spinelli, in primo luogo il palazzo avito, ma fu suo desiderio poter continuare ad abitarlo tre mesi l’anno. La contessa non era particolarmente ricca e il denaro ricavato dalla vendita della “nuda proprietà”, le tornava comodo poiché mantenere un salotto era costoso! Trovò l’acquirente nell’amico di vecchia data Angelo Giudici (1817-1887), membro di un’antica famiglia di mercanti che abitava in Contrada Caneva, di cui si hanno notizie nei registri parrocchiali di Clusone. Il padre di Angelo, Francesco, aveva fatto fortuna col commercio, come corriere e cambiavalute e prestatore di denaro. Dal 1835 Angelo, col fratello Antonio affiancò il padre (morto nel 1839) nella gestione del patrimonio, ma attraverso diverse attività economiche e finanziare riuscì a migliorare sensibilmente la sua posizione.

Alla morte  nel 1842 del conte G.B. Carrara Spinelli a Clusone, dove si era ritirato dal 1836   , Angelo Giudici, legato da stima e amicizia alla contessa Clara, divenne l’amministratore del suo patrimonio e finì col diventare proprietario del palazzo che poi  divise fra i suoi figli, Federico (1863-1917) e Alessandro (1852-1902): Federico abitò l’ala del quattrocentesco palazzo Spinelli, da lui successivamente ingrandito, mentre Alessandro ebbe in dote dal padre Angelo l’edificio settecentesco Carrara Spinelli [6]. Pressappoco coetaneo della contessa, Angelo Giudici, in prime nozze, aveva sposato Vittoria, la bella figlia del musicista Antonio Gonzales, di antica famiglia spagnola, “maestro virtuosissimo, per far apprendere il vero metodo di sonare l’organo”. Era anche pianista e maestro di accompagnamento, nonché organista di Santa Maria. Nato a Gromo nel 1764, aveva appreso l’arte dai maestri Fogaccia e Agostino Paglia, maestro di cappella del duomo di Milano. Compose anche una farsa “Il Calandrino” eseguita a Venezia; si dedicò poi alla musica sacra ed all’insegnamento ed ebbe come discepoli, tra gli altri, anche Gaetano Donizetti, dal 1806 e per circa otto anni. Morì il 13 dicembre 1830. La giovane Vittoria morì a 25 anni nel 1842, lasciando un figlio, anch’egli morto a 12 anni nel 1853. In seconde nozze Angelo Giudici sposava la nobile Zineroni da cui avrebbe avuto Federico e Alessandro. A Clusone di Angelo si conserva un bel ritratto a mezzo busto, che lo raffigura trentenne.

Sappiamo oggi da documenti inediti, tratti dal manoscritto del Baradello[7] che, pochi mesi dopo la morte del conte, il 28 ottobre 1842, Andrea Maffei avanzava pretese sull’arredo carrara Spinelli a Carlo Olmo, nipote della contessa, chiedendo mobili antichi del palazzo di Clusone, per arredare il suo nuovo appartamento milanese. Lo pregava inoltre di acquistare la cassetta (?) appartenuta al cardinale Angelo Maj e spedirgliela a Milano. Così pure gli rammentava i “mobili dell’eredità Fantoni”. Andrea continua:” Vorrei con questi ammobiliare il mio nuovo appartamento nel più breve tempo possibile, per non pensarci più. Continuando nelle richieste, tramite l’Olmo, compra a Nembro, presso un Carrara, un mobile. Attende pure “la lettiera del Tognoli, dopo che il Luigi (falegname) l’avrà accomodata. Il 18 novembre, per una serie di disguidi, il mobile spedito da Nembro, non è ancora giunto a Milano. Chiede inoltre all’Olmo che gli siano inviati “la cupola di legno e le sei cariatidi che facevano parte del vecchio battistero”. Purtroppo non è noto, date le scarse notizie in merito, risalire a questo antico oggetto, forse appartenuto alla parrocchiale di Clusone. Contemporaneamente chiede l’immediata spedizione delle “scranne antiche”. L’Olmo gli spedisce le ultime “due cariatidi”, il fascio di cornici e il mobile di ebano intarsiato di avorio “che stanno nella grande sala della nostra casa”. A inizio 1843 Andrea riceve da Clusone “la buona notizia della compera dei mobili Fantoni” desiderando sapere “quando finalmente succederà il riporto dei mobili Fantoni perché mi sarebbe assai caro l’averli presto”. Sempre all’Olmo chiede di informarsi “di un mobile antico in formato di armadio, tutto intagliato a figure” che si trova nel paese bresciano di Bettolo di Sajano, in un’osteria. Gli viene segnalato inoltre che una signora di Cerete, nota anche a Clarina, possiede il mobilio d’una stanza da letto, tutto scolpito a festoni “lodata opera del Cristina Angelini, scultore do Rovetta”. Dovrebbe trattarsi dell’unico lavoro, di cui si ha memoria, di Giacomo, del padre dello scultore ed ebanista Giovanni Angelini detto il Cristina di cui è noto un Trionfo della Croce, commissionatogli dal conte Odifreddi di Milano, per il tramite della contessa Clara, esposto nel 1874 ad una mostra milanese.

 Come si è visto, il 15 novembre 1845, con atto notarile, Angelo Giudici diveniva “nudo proprietario” di tutto il patrimonio della nobildonna. Nel contratto erano compresi “li mobili in detta casa esistente e descritti” così: piano superiore, nell’atrio d’ingresso sette pancali sagomati con schienale; nello studio uno scaffale in giro con tutte le carte e registri, un tavolo di noce, quattro scranne di noce, due quadretti in tela. Nella Galleria: due tavoli e due mezzelune di noce, dodici scranne di noce, quattro specchi o placche con cornice intagliata e indorata, sei quadri mezzani con scene di contadini, con cornice indorata, un quadro grande rappresentante l’Adorazione dei Magi, ventuno altri quadretti, la maggior parte piccolissimi. Nell’antisala due tavolini in noce, sei scranne impagliate e due portamantelli. Due incisioni in cornice nera con cristallo ed una lucerna di latta appesa”[8].

Il palazzo “in Longarete” (oggi Via Carrara Spinelli Maffei) era composto da tre unità immobiliari, con un vasto cortile delimitato a Nord dai fabbricati settecenteschi, che tuttora affacciano sulla strada. A sud si apriva il parco-giardino ornato dall’edicola settecentesca affrescata da Antonio Cifrondi (1656-1730). Così lo descrive il Barbiera: “Quella casa non presentava nulla di particolare nell’architettura, tranne nella porta; una bellissima porta dall’arco e dai pilastri vagamente ornati da squisiti artefici del Cinquecento; la più bella porta di tutta Clusone”[9].

Restavano in usufrutto alla contessa un appartamento di quattro stanze, più il grande salone e l’uso promiscuo di loggia, cucina, forno, stalle. Il prezzo stabilito fu di 109.000 lire, diviso in rate semestrali di 2.452 lire da pagarsi ogni anno a partire dal 1846. Il debito fu estinto completamente nel 1883. Nel 1872, la contessa lasciava ai signori Giudici gli arredi delle sue stanze comprendenti tra l’altro, due letti in legno scolpito e dorato, di cui uno con lo stemma Carrara Spinelli, opera della bottega di Andrea Fantoni (1659-1734). Restava loro anche il Ritratto della contessa di mano dell’Hayez. Un anno dopo la morte di Clara Maffei, moriva il signor Angelo (1887), L’anno successivo il cospicuo patrimonio veniva diviso, come sopra accennato, tra i suoi figli, Federico e Alessandro. Tutti i citati immobili e mobili passarono agli eredi Giudici. Il Baradello  gli dedicò sentite riflessioni : “ Il 27 marzo 1887 moriva , a seguito di un colpo apoplettico, il Sig. Angelo Giudici fu Francesco, nell’età di 70 anni, nella sua casa in Clusone, Contrada Longarete, già proprietà della contessa Clara Carrara Spinelli, vedova del cav. Andrea Maffei.  Lasciava i figli Alessandro, ammogliato con Giovannina Pedrocchi di Clusone, Federico medico chirurgo, Marianna (Suor Agnese) e Teresa col marito Personeni Gottardo di Clusone.  “Fu onesto fino allo scrupolo, pieno di buon senso, di delicatezza, di tatto e soprattutto buono. La sia vita consumò alleviando le altrui miserie al segno che dalla riconoscenza dei suoi concittadini, venne chiamato “padre dei poveri”. Come è noto fu intimo amico della contessa Maffei e, come si dirà in seguito, “si adoperò a tutta posta a nascondere in casa alcuni nobili fuggiaschi ricercati dall’Austria, dopo le leggendarie Cinque Giornate di Milano; che si erano portati a Clusone per dare l’addio alla illustre donna, prima di intraprendere la strada dell’esilio”[10] .

Tornando alla villeggiatura clusonese è noto che la contessa era solita avere ospiti soltanto pochi amici intimi. Dopo la separazione dal marito, Clara cominciò ad ospitare Carlo Tenca, la scrittrice Viola Velleda Ferretti, Filippo Filippi, Giulio Carcano critico musicale e compositore e, nell’estate del 1845 e 1846, Giuseppe Verdi che qui compose l’opera L’Attila. Il pianoforte che utilizzò il musicista si conserva tuttora al MAT (Museo Arte e Tempo) di Clusone. Nel 1847 frequentarono il salotto milanese, sempre più politicizzato, Luciano Manara, Giovanni Visconti Venosta, mentre il conte Cesare Giulini mantenne costantemente i rapporti nel biennio 1857-1858. Finalmente il 7 giugno 1859 entravano a Milano Vittorio Emanuele II e Napoleone III. Quest’ultimo, per mezzo del conte Francesco Arese, mandò alla contessa una sua fotografia con dedica che, in un primo momento, trovò posto nel salotto milanese per poi essere portata a Clusone dove tutt’ora si trova[11]. Anche  l’ufficiale francese Fly Sainte-Marie lasciò alla Maffei il proprio ritratto e in questo stesso anno Ippolito Nievo, poeta e romanziere veneto, le regalò una fotografia in veste di garibaldino che Clara mise in un album con i ritratti di altri valorosi.

Nel 1848, durante i moti rivoluzionari, Clara ospitò di nascosto, esponendosi a gravi pericoli, Gabriele Camozzi e Filippo Rossi che, con l’aiuto del signor Angelo Giudici, riuscirono a fuggire in Svizzera (1848-1849). Si era costituito in Clusone un Comitato di Pubblica Sicurezza. Nell’archivio di casa di Angelo Giudici si conservano dei documenti da cui si rileva come il comitato si fosse rivolto alle diverse Deputazioni Comunali per avere sussidi per la guerra. Nel palazzo di Clara Maffei risulta che durante la permanenza di Camozzi e Rossi, vi erano state nascoste molte armi[12] .

Oltre agli amici che andavano a trovarla da Milano, ogni sera riceveva il Conte Filippo Fogaccia, il Canonico Marinoni, l’amico Angelo Giudici, suo amministratore, e qualche esponente delle famiglie nobili clusonesi con cui manteneva lontani rapporti di parentela: Bonicelli, Marinoni, Giovanni Battista e Vincenzo Barca.

Tra le notizie di fine secolo (1878) si legge che la contessa Maffei, come di consueto passava l’estate a Clusone; fu sua ospite per breve tempo Emilia Viola, maritata Ferretti, autrice della “Leggenda di Valfreda”. Lavorò assiduamente anche per la “Nuova Antologia”, sotto lo pseudonimo di “Emma”[13].

Spesso si giocava a dama o a scacchi, come documenta la presenza di un tavolino con scacchiera proveniente dalla sua casa, oppure a carte, tresette e briscola. Nel 1872 frequentarono Clusone, diventata una località alla moda, il Console d’Austria e quello di Francia. Il console austriaco dovrebbe essere Rodolfo Lutzow.

Con l’inizio degli anni Ottanta e la morte di molti amici il salotto milanese si svuotò e così Clara riuscì a passare più tempo a Clusone.  Negli ultimi tempi elargiva doni, per lo più fotografie, agli amici più intimi: a Velleda Ferretti lasciava il ritratto della madre di Tenca e quello dello stesso Tenca in giovane età.  Al marito Andrea Maffei lasciava il suo ritratto dipinto da Hayez e quello del padre di Andrea; morto Andrea nel 1885, decise di lasciare la tela di Hayez al cavalier Vincenzo Lutti di Riva Grande, grande amico del Maffei.

A fine secolo Clara Maffei si recava a Clusone in ferrovia “in parte già compiuta”. La stampa litografica a ricordo dell’evento (Milano, Litografia Bertolli), mostra la città di Bergamo turrita, assisa davanti una locomotiva; ai lati gli stemmi della Serenissima e quello Savoia.

Ma veniamo ora ai ritratti conservati nella casa di Clusone

ANDREA MAFFEI (1798-1885)

Foto ritratto di Carlo Bellosio di Milano, seconda metà XIX secolo

Marito di Clara, che manterrà sempre il suo cognome, è poeta alla moda, librettista, traduttore; uomo di vasta cultura, a lui spetta la fondazione del salotto con esponenti della cultura milanese, quali Tommaso Grossi e Massimo d’Azeglio. Nel 1823 si stabilisce a Venezia dove frequenta il salotto di casa Papadopuli; nel 1825 passa a Milano. Traduce Gessner, Byron, Moore, Schiller. E’ anche molto vicino a Verdi con cui collaborò al Nabucco (1842). Andrea, che aveva sposato Clara nel 1832, presentatale dal padre, per le nozze le regalò la traduzione degli Idilli di Gessner, con dedica.  Per ulteriori notizie si rimanda a M. Marri Tonelli[14] .

GIOACCHINO ROSSINI (1792-1868)

Disegno a penna, tratto da un ritratto ad olio, della seconda metà XIX secolo (16.5.1862)

Compositore operista famoso: suoi, tra gli altri, Il barbiere di Siviglia, Semiramide, Guglielmo Tell. Alla contessa Maffei viene presentato da Andrea Maffei che per lui scrive libretti d’opera. Nel 1829 abbandona il teatro; l’anno dopo si trasferisce a Parigi, con qualche ritorno in Italia, sicuramente nel 1837; in questo tempo si vede con Verdi, mentre Andrea Maffei lo introduce nel salotto, dove incontra Liszt che è noto aver suonato un’intera notte per la contessa. Muore a Passy, fuori Parigi, nel 1868. Il ritratto, come si legge nella dedica, fu regalato dal Rossini all’amico pittore Guglielmo de Sanctis (1829-1911): “Carissimo Guglielmo de Sanctis questo fortunato incontro per mostrarvi la mia amicizia e ammirazione, Gioacchino Rossini”. Il De Sanctis dipinse anche il ritratto del famoso compositore ad olio su tela; fu lo stesso pittore a farne dono alla contessa Maffei (Archivio Digitale Fondazione Giorgio Cini). Trasferitosi a Roma, divenne il più apprezzato ritrattista della borghesia urbana come interprete stilistico di Tommaso Minardi, caposcuola del purismo romano; di lui è noto un album con disegni di uomini illustri. Per il profilo biografico si rimanda a M.A. Scarpati[15] .

ALEARDO ALEARDI (1812-1878)

Foto ritratto di Moritz Lotze, tratto da un’incisione e con firma autografa.  metà XIX secolo)

 Aleardi fu poeta romantico e uomo politico, senatore del regno nel 1860. Assai ricercato nei salotti milanesi, amico di Manzoni e di Foscolo di cui risente gli influssi. Si ignora il suo ingresso nel salotto Maffei, ma è probabile che si debba a Manzoni, grande amico di Clara. Il ritratto è opera del famoso fotografo tedesco Moritz Lotze (1809-1890) che fondò un importante studio a Verona negli anni 1854-1868, dove sicuramente l’Aleardi si fece ritrarre. Nel 1878 alla sua morte, Clara regalò a Tenca un bellissimo ritratto del poeta; la contessa ricorda con rammarico che con l’Aleardi “si viveva molto nel passato che è per noi vecchi un bisogno e in parte anche un conforto”. Sul poeta si veda E. Caccia [16].

 

CARLO TENCA (1816-1883)

Ritratto inciso da Riera (f) tratto da foto di “Schemboche Phot, a Florence”. Sul retro “4 settembre 1883”, data della sua morte.

Figura di spicco nella storia politica del Risorgimento lombardo, oltre che giornalista e letterato, autore di numerosi saggi di critica romantica elaborati fra il 1838 e il 1880. Introdotto da Giulio Carcano, nel 1844 inizia a frequentare il salotto Maffei e nel corso della stessa estate viene invitato a Clusone; l’incontro con la contessa, da poco separata dal Maffei, segna l’inizio di una storia amorosa durata tutta la vita e attestata dal ricco carteggio epistolare (in proposito si veda L. Iannuzzi, Il carteggio Tenca-Maffei: storia, letteratura e arte nell’Italia del Risorgimento, Napoli 2007, nuova ed. Avellino 2016). Nel 1848 partecipa attivamente alle Cinque Giornate di Milano e successivamente collabora al giornale del governo provvisorio. In seguito, convinto dalle idee di Cavour e tra i fautori della “svolta politica” del salotto Maffei verso la monarchia sabauda, divenne deputato del Regno di Sardegna e poi del Regno d’Italia. Il ritratto deriva da un’incisione di Francesco Colombi Barale, conservata nel Museo Civico di Cremona. Del Tenca la Maffei possedeva anche la piccola foto con la data di morte scritta sul retro.

ELISEO SALA (1813-1879)

Ritratto di Clara Maffei

 Eliseo Sala  fu pittore ritrattista, molto amico di Clara, che effigiò nei primi anni Quaranta, forse su richiesta del padre; la contessa, ritratta a tre quarti di figura, ha un’espressione assai malinconica, probabilmente dovuta al momento della separazione dal marito.  Pittore di Casa Litta, dove per tanti anni aveva lavorato come “aio” il padre di Clara, Sala studiò a Venezia e a Roma dove conobbe Coghetti (1840), a Milano fu seguace di Hayez e per diversi anni fu presente alle esposizioni d’arte di Brera. Per la sua attività si rinvia a F.Santaniello,[17] sub voce, in D.B.I., 89, Roma 2007.

GIULIO CARCANO (1812-1884)

Foto ritratto di Iginio Calzolari di Milano (10×6), realizzata nel 1862

Amico di Andrea Maffei, tramite il quale fu tra i fondatori del salotto milanese della contessa Clara in cui introdusse nel 1844 Carlo Tenca, fu anche ospite di quello di Clusone. Traduttore delle opere di Shakespeare, scrittore, giornalista, politico, nel 1876 fu eletto senatore del Regno d’Italia e a questa elezione rimanda la data del ritratto. Per ulteriori notizie si rinvia a R. Negri, sub voce, in D.B.I., 19, Roma 1976.

GIUSEPPE VERDI (1813-1901)

Grande amico di Clara per tutta la vita; in villeggiatura a Clusone nel 1845, su libretto del Solera scriveva l’Attila, la cui prima si ebbe a Venezia. Il musicista era entusiasta del luogo, tanto da esclamare: “Clusone è l’Eden!”. In una lettera indirizzata alla contessa scriveva: “l’assicuro che io non sono mai stato così bene quanto quei giorni […]. E come si poteva diversamente con una padrona di casa così amabile e gentile?”. Ed ancora, di ritorno da Venezia in compagnia del Maffei, Verdi scriveva: “verrò senza fallo a Clusone”; tuttavia non gli fu possibile.

Verdi e Carcano furono testimoni il 15 giugno 1846 all’atto della separazione legale di Clara dal marito. Il documento fu stilato dal notaio Tommaso Grossi e la prima clausola riguardava Clusone: “Col giorno 16 corrente giugno in cui la signora contessa Clara Maffei si ritirerà nella sua casa di campagna di Clusone, cesserà la di lei convivenza col marito”. Sembra che nel 1847 Verdi tornasse a Clusone insieme a Carcano: tra gli argomenti di conversazione si discorreva di Shakespeare, che Carcano traduceva, mentre il compositore musicava il Macbeth. Per una sintesi sulla corposa bibliografia di Verdi, con particolare riferimento alle dinamiche della vita professionale e di quella privata, basti citare il recente volume di R. Mellace, Con moltissima passione. Ritratto di Giuseppe Verdi, Roma 2017. Il ritratto del musicista che pur doveva essere presente a Clusone, non è stato rintracciato.

TULLO MASSARANI (1826-1905)

Scrittore, politico, pittore allievo di Domenico Induno (1815-1878), fu assiduo frequentatore del salotto Maffei. Nato a Mantova si trasferì presto a Milano dove divenne grande amico di Tenca con cui collaborò al Crepuscolo; dopo la morte di Tenca e di Correnti si occupò della pubblicazione dei loro scritti. Di famiglia ebrea, si convertì al cattolicesimo sotto l’influenza di Manzoni; nel 1860 entrò in politica e nel 1878 fu eletto senatore. Per ulteriori notizie si veda R.Balzani, sub voce, in D.B.I., 71, Roma 2008. Purtroppo il ritratto è andato perduto.

ANTONIO GUSSALLI (1806-1884)

Foto ritratto maschile in piedi, firmato, databile alla seconda metà del XIX secolo

Di origine bresciana fu persona di vasti interessi letterari e musicali; fu anche editore. E’ noto per l’assidua frequentazione del salotto della contessa Maffei. Su questo personaggio si rimanda a G.Monsacrati, sub voce, in D.B.I., 61, Roma 2004.

TITO VESPASIANO PARAVICINI (1830-1899)

Disegno raffigurante una scena di genere, firmato e datato 1862

Opera del poco noto architetto T.V.Paravicini che fu professore di disegno all’ Accademia delle Belle Arti di Brera. Si ignora la motivazione della presenza del disegno in casa Maffei, forse un omaggio. Per ulteriori notizie sull’artista si rimanda a A. Bellini, T.Vespasiano Paravicini, Milano 2000.

GIOVAN BATTISTA CARRARA SPINELLI (1779- 1842)

Il Ritratto di Giovanni Battista Carrara Spinelli fu realizzato dal veneziano Francesco Bosa (1803- 1870), incisore e scultore[18].  Raffigurato di profilo il conte, padre di Clara Maffei, quasi sicuramente si fece ritrarre al tempo di uno dei suoi numerosi viaggi d’affari a Venezia. Ancora di gusto neoclassico, l’immagine di profilo potrebbe suggerire trattarsi di uno studio per una medaglia. Politicamente filonapoleonico, fu poeta dilettante secondo la moda del tempo e pedagogo in Casa Litta a Milano. Nel 1807 aveva sposato Ottavia Gambara (1796-1826) appartenente ad una famiglia della nobiltà bresciana, politicamente vicina alle idee repubblicane. Quando i due si divisero Clara aveva solo quattro anni (1818). Il Bosa, che collaborò col fratello Eugenio, scultore di monumenti funebri, fu anche calcografo e, come pittore, prevalentemente ritrattista: è noto un suo ritratto ad olio su tela di Malatesta Adeodato (Venezia, Museo Correr). Per il suo profilo professionale si rimanda a G.Damerini, sub voce, in D.B.I., 13, Roma 1971.

 

 

 

 

[1] Barbiera R., Il salotto della contessa Maffei, Milano 1914, p. 56. Per altre edizioni più recenti dedicate a Clara Maffei mi limito a citare: D.Cugini, Una nobildonna bergamasca del Risorgimento italiano. La contessa Clara Maffei e i suoi salotti di Milano e di Clusone, in Bergomum, 56, 1962, pp. 239-26; D. Pizzagalli, L’amica – Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento, italiano, Milano 1997; M. Anesa, Il salotto della contessa Clara Maffei.Giuseppe Verdi a Clusone, in Musica a Clusone, Clusone 1998; A.Baretti, Oltre il salotto. Clara Maffei, Clusone 2006; L’Ottocento di Clara Maffei, a cura di C. Cappelletti, Milano 2017.

[2] La notizia della morte era giunta in Europa il 16 luglio 1821.

[3] G.Ratti, Juliet Colbert, sub voce, in Dizionario Biografico degli Italiani (d‘ora in poi D.B.I.), 26, Roma 1982; A.Montonati, Giulia di Barolo, Torino 1998; A.H. Herault, La famille Colbert de Monlevier (1665-1895), Les Melines 2000.

[4] Giovanni Carnovali detto il Piccio 1804-1873 : G. Mangili, PICCIO. Tutta la pittura, Bergamo 2014( con bibliografia precedente).

[5] Il dipinto, di mano dell’Hayez si trova oggi nel Museo di Riva del Garda.

[6] Alessandro Giudici vendette il palazzo nel 1900, trasferendosi nella “casa di Piazza”, di proprietà della moglie Giovanna Pedrocchi. Per ulteriori notizie sulla famiglia Giudici si veda L. Ferrari, Il “Conventino” di Clusone, Clusone 2016.

[7] Baradello, Clusone nel nome delle sue vie ,  IV , prima parte, pp. 175 ss, 1905 ) il cui originale si conserva tuttora presso il Circolo Culturale Baradello di Clusone

[8]  Clusone, Archivio parrocchiale, fondo XXII, faldone 257, fasc.7 (1839-1884). L’elenco dei mobili è molto generico.

[9] Barbiera, op.cit, 1914, p.77.

[10] Baradello, op. cit. 1905, vol. 2, parte 1, pp. 268-269

[11]  Barbiera, op.cit., 1914, così descrive il salotto:” Sono due sale […] addobbate con velluti scuri, specchi di Venezia, quadri ad olio dell’Hayez, incisioni di Calamatta e ritratti di amici”.

[12] Baradello, op. cit., 1905, vol. 2, prima parte, p. 48

[13] Baradello, op. cit., 1905, vol. 2, prima parrte, p. 110

[14]  M.Marri Tonelli, Andrea Maffei, sub voce in Dizionario Biografico degli Italiani,67-2006

[15] M.A. Scarpati, Gioacchino Rossini, sub voce, in D.B.I., 39-1991

[16] E.Caccia, Aleardo Aleardi, sub voce, in D.B.I., 2-1960

[17] F.Santaniello,  Eliseo Sala, sub voce, in D.B.I., 89- 2007

[18] Il rame dell’incisione si conserva nel Museo Civico di Monza.