Anna Maria Pedrocchi
Dalla fine del XVI secolo a tutto il XIX i documenti d’archivio rivelano i nomi di tanti argentieri ed orafi con botteghe situate per lo più in via del Pellegrino, nel Rione Ponte, secondo le antiche norme corporative che imponevano ai maestri dell’Arte di avere bottega nella stessa strada. Per la maggior parte si tratta di artigiani ma tra loro si annoverano grandi maestri attivi soprattutto per la Camera Apostolica, per le basiliche patriarcali e per gli arredi sacri delle chiese dei nuovi ordini religiosi: Oratoriani e Gesuiti. I loro nomi e le opere realizzate emergono dalle “giustificazioni di pagamento”, numerose nelle carte d’archivio del convento. Di norma una comunità religiosa aveva un suo argentiere di fiducia, definito “nostro”: come ad esempio Tommaso Cortina argentiere e orafo abruzzese negli anni 1600-1627 attivo per la Chiesa Nuova, “fratello laico” della Congregazione, che riservava al committente dei prezzi molto favorevoli.
Tutti gli inventari di sacrestia ricordano tanti oggetti d’argento, la maggior parte dei quali perduti. Gli elenchi dei vasi sacri citano calici e pissidi legati alla celebrazione delle messe che quotidianamente si celebravano a tutti gli altari, per tenere fede ai lasciti e legati testamentari per i riti funebri. Le chiese degli ordini religiosi e le parrocchie più popolose avevano mediamente venti calici d’argento i più preziosi dei quali usati soltanto nelle cerimonie solenni; seguivano poi quelli quotidiani con il corpo in metallo argentato e la coppa in argento dorato, secondo la normativa ecclesiastica che imponeva l’uso dell’oro per la parte a diretto contatto con l’ostia sacra. Gli interminabili elenchi annoverano poi turiboli e navicelle in pendant, ostensori, palmatorie, reliquiari, candelieri e carteglorie, lampade pensili e torcieri. Di questi oggetti è rimasto ben poco negli armadi della sacrestia della Vallicella, per molteplici cause. Comunque fortunatamente la Chiesa Nuova è fra quelle che sono riuscite a conservare in buon numero argenti e parati preziosi. Tra le cause della loro perdita sta innanzi tutto la deprecabile consuetudine di fondere i pezzi rotti o usurati per recuperare il costoso metallo per realizzare nuovi oggetti. Si veda ad esempio l’argento fuso per i busti reliquiari dei SS. Papia e Mauro, nel 1605.
Non rintracciato è l’antico “ciborio con due angeli in bronzo” realizzato nella seconda metà del XVI secolo dall’orafo e bronzista Benincasa da Gubbio. Si tratta quindi del più antico arredo sacro eseguito quando Filippo era ancora in vita. (Bulgari, ROMA, I, p.141)
Purtroppo è difficile trovare il collegamento tra gli elenchi inventariali e le opere rimaste, in quanto molte di esse, in particolare nel Seicento, erano prive della bollatura: si hanno così artisti senza opere e opere senza autori.
Il cantiere che apre il secolo è quello relativo alla Cappella di San Filippo Neri: fortunatamente infatti sono documentati arredi e decorazioni, realizzati da grandi maestri e tuttora in loco. Confraternite e chiese nazionali testimoniano la presenza a Roma anche di maestranze straniere o di altre parti d’Italia, delle quali, anche se raramente, è rimasta qualche opera.
Già nel 1582 il cardinale Pier Donato Cesi, amico e penitente del Beato Padre, aveva donato un ricco arredo composto da quattro candelieri dorati, sei candelieri di rame, un cero pasquale, una grande croce d’argento e tutta la sua “cappella”.
All’indomani della morte del Beato Padre nel 1594, una lampada d’argento ardeva notte e giorno sulla sua tomba, di cui non c’è traccia nei pagamenti perché fu donata dalla “marchesa Rangona”, che pagò anche la spesa del trasporto delle preziose reliquie alla Vallicella dal Foro Romano. Giulia Orsini Rangoni (+ 1598) fu grande benefattrice della Congregazione dell’Oratorio e insieme con Beatrice Caetani, si interessò della costruzione del “Rifugio per ragazze pericolanti” (1593) al Quirinale. Risulta inoltre aver testimoniato al processo a San Filippo Neri nel 1595. Questa annosa familiarità con l’Oratorio spiega il dono della lampada d’argento subito dopo la morte di Filippo, prima ancora che si desse mano alla sua cappella nel 1600.
Nel 1598 si posero sull’altare maggiore le teste dei SS. Nereo, Achilleo, Domitilla e Orsola; si ignora tuttavia se fossero in legno o in argento.
Nel 1599 Nero del Nero voleva fare, a sue spese, una cassa d’argento per conservare il venerato corpo. Non se ne fece nulla. I doni comunque continuarono: nel 1598 la famiglia Crescenzi regalava “una croce d’argento con suo piede pure d’argento, del valore di 250 scudi”. L’anno successivo il Signor Sansedoni consegnava “un crocifisso d’argento in una croce di ebano con quattro angiolini e un cuore d’argento nel piede, con due gigli di seta, da porre sopra il petto del Santo Padre, del valore di 20 scudi”, con molta probabilità di mano di Tommaso Cortina[1].
Negli anni 1594-1596 l’argentiere e orefice lombardo Girolamo Cona (attivo 1589-1618), con bottega in via dei Banchi Vecchi, veniva pagato 65 scudi per lavori non precisati; nella sua bottega lavorava G.B. Bardi fiorentino, figlio di Bartolomeo, sepolto in chiesa. (ACOR, giustificazioni di pagamento 1594-1596, c. 410; Bulgari ROMA I, pp. 313-314)
Tra i più ricercati, per la qualità dei lavori, troviamo il già citato Tommaso Cortina (att.1600-1627) lavorante presso Gabriele Rancetti, che nel 1603 riceve 10.50 scudi “a bon conto dell’effige e testa di argento del S.to Padre, dati dal Sig. Sansedoni, su commissione del cardinale Alessandro de’ Medici”. Per questo lavoro furono necessari 18 scudi d’argento e 24 scudi per la fattura “che di tanto si è contentato detto M.o Tommaso per sua devozione” (ACOR giustificazioni di pagamento 1603, fogli sciolti) Negli anni 1598-1610 lavora sempre con Rancetti, prima come collaboratore e poi come compagno. Il Rancetti fiorentino era famoso sia come medaglista che come argentiere. A Roma dal 1588 in Strada Nuova, abitava insieme a Tommaso Cortina. (Bulgari, ROMA, I, p. 324; Bulgari, ROMA II, p.323 ; A.M.Pedrocchi, 2010, n.41 ,p.51)
A marzo il Cortina è pagato 13 scudi “per comprare alcune gioie e perle da porre sulla corona d’oro per la testa del S.to Padre”. Ad ottobre riceve un acconto di 30 scudi “a bon conto; a novembre 36 scudi, altri 25.5 glieli consegna il Padre Gallonio a febbraio del 1605. (ACOR, Giustificazioni di pagamento 1603-1605, fogli sciolti)
Ante 1606, anno di morte di Nero del Nero, veniva realizzato, per sua commissione, il Reliquiario del dito del Beato Padre. Sull’oggetto, ancora conservato, è presente lo stemma Nero: non è escluso che il pezzo sia opera di un argentiere fiorentino, comunque non si è trovato alcun pagamento. (nota Pedrocchi 2010, n.44, p. 52) A questo stesso momento può datarsi anche il Reliquiario del berretto del Beato Padre realizzato in argento dorato e paste vitree, forse anche esso di un argentiere fiorentino. (Pedrocchi, 2010, n. 32, p. 49)
Il 5 marzo 1606 il P.M. Giulio Cesare Paltroni “vi piacerà pagare al P. M. Egidio Bocchi scudi 50 di moneta sono per darli per darli a M.o Antonio da Faenza a bon conto dell’argento che lavora nel fare le steste dei S.ti Papia e Mauro” ( ACOR, giust. pag., cc. 61,284) Antonio Gentili da Faenza, attivo dal 1561-1609, è sicuramente l’argentiere più importante a Roma tra la seconda metà del XVI secolo e il 1609. A Roma dal 1550 lavora come argentiere, orefice e incisore. Come testimoniano questi documenti , dal 1602 lo affianca Pietro figlio di M.o Antonio da Faenza argentiero a conto dell’argento messo in una testa di S.to Papia”(……).(Bulgari, ROMA, I, pp. 509-510)
Contemporaneamente, ad ottobre 1607, la Congregazione paga cento scudi di moneta all’argentiere Pietro Spagna (1592-1627) che fa la testa di S.to Mauro, “a bon conto”. La settimana successiva si trova un pagamento di 12 scudi allo scultore Nicolas Cordier (1567-1612) detto il Franciosino per un modello di creta fatto per la testa di San Mauro[2]. Lo scultore, venuto a Roma giovanissimo iniziando come intagliatore di legno, era ben noto all’Oratorio in quanto, su commissione del Baronio, aveva realizzato la grande statua di San Gregorio Magno e quella di Santa Silvia, negli oratori presso San Gregorio al Celio , negli anni 1603-1604 . (ACOR. Giust. 1606-1607 pp.92,95,202. Pedrocchi, S.Greg. al Celio, Roma 1993,pp…….) Quella di far eseguire un bozzetto in creta per una scultura in argento non è casuale, specialmente se l’oggetto da realizzare rivestiva grande importanza, tuttavia Antonio e Pietro Gentili, che eseguono contemporaneamente la testa di S. Papia, non utilizzano alcun bozzetto.
A giugno 1606 il P.M. Giulio Cesare Paltroni , tramite il P.M. Egidio Bocchi, consegna 50 scudi di moneta “sono per pagare a M.o Pietro, figlio di M.o Antonio da Faenza argentiero a conto dell’argento messo in una testa di S.to Papia (ibidem c.202)
Il 20 febbraio 1607 si pagano 25 scudi moneta a M.o Pietro Gentili argentiero “ a bon conto della testa d’argento di S.to Papia che fa per noi”. Un mese dopo si danno scudi 30 moneta per pagare “ a bon conto al maestro che fa le teste d’argento de S.ti Papia e Mauro”.(ibidem, c.264)
Il 14 maggio 1607 si danno 83.20 scudi di moneta “sono per pagare M.o Pietro Gentili argentiero per saldo et resto di scudi 268.20 che è andato in argento, rame, ferro e fattura della testa di S.to Papia” ( ibidem, 264,225,322)
Un anno dopo, l’11 aprile 1608, scudi 37 per la valuta di zecchini 25 per dare a M.o Pietro Spagna argentiere per indorare il rame della testa di S.to Mauro, che esso fa”; si pagano inoltre 99.70 scudi di moneta a “M.o Pietro Spagna argentiero per saldo et ultimo pagamento della roba e manifattura della testa di S.to Mauro ch’esso ha fatto per la nostra chiesa quale testa in tutto ascende al valore di scudi 285”.( ibidem,cc.322, 349)
Le due teste vengono a costare quasi la stessa cifra e, come si evince dai documenti furono eseguite da due delle più prestigiose botteghe quella di Antonio da Faenza e il figlio Pietro e quella di Pietro Spagna, fiorentino anch’egli tra i primi di Roma. (Bulgari, ROMA, II, pp. 427-428) Entrambe le teste, tuttora sconosciute al repertorio del Bulgari, possono ora essere annoverate tra le opere più prestigiose di questi argentieri.
A giugno 1607 Cortina è pagato scudi 1.70 per havere acconciato la croce del card. Antoniano che era guasta et rifatto la corona di spine che era persa, essendo stata prestata”. (ACOR, Giustif. di pag., 1607 fogli sciolti)
Nel 1607 Girolamo Cona è riceve 8 scudi per la doratura di otto calici con patena, a scudi uno l’uno. (nota ACOR Ricevute 1607, fogli sciolti. Bulgari, ROMA I, p.313-314)
A giugno del 1608 nelle “giustificazioni di pagamento” si legge:” Scudi 30 moneta sono per la valuta di venti zecchini per indorare la cassetta di rame che fa M.o Girolamo Cona argentiero per le nostre reliquie”. Già a febbraio il Cona aveva avuto 100 scudi “a bon conto per la cassetta che fa per le reliquie”. Infine nel corso del 1609 riceve altri 200 scudi “per resto e saldo di due cassette d’argento per le reliquie”. Non è chiaro se si fece in un primo momento una cassetta di rame dorato o se poi si decise per due cassette in argento, come documenterebbe il costo. (ACOR giustif. pagamento,1609-1610, cc.103,265, 352,75)
Nel 1609 Tommaso Cortina riceveva 21 scudi, “sono per resto di scudi 56 quali doveva avere per diversi lavori fatti per la nostra chiesa più 9 scudi per oncie tre e mezzo d’argento et per la fattura sua in accomodare le due teste de’ S.ti Nereo e Achilleo acciò si potessero mettere le reliquie”, a suo tempo commissionate dal Baronio. Probabilmente in questa occasione si fecero delle piccole aperture sul petto dei due santi, per riporvi le loro reliquie. ( ACOR, giustificazioni di pagamento 1609, fogli sciolti)
Nel 1610 si danno al Cortina 36 scudi “per molte fatture per la nostra chiesa. Nel 1611 lo stesso riceve scudi 7.20 “per sei medaglie del Beato Padre d’argento”. L’11 aprile 1611 “l’orefice Tommaso Cortina riceve 19 scudi per una coppa donata al Sig. Angelo Andosilla avvocato della casa”[3]. (ACOR gius.pag. 1611 c.97)
Nel 1611 l’orefice Giuseppe Mischia(1608-1645) è pagato 7.47 scudi per un reliquiario da mandare alla regina di Francia, la fiorentina Maria de’ Medici, devota di Filippo Neri.(Bulgari, ROMA, II, p. 153)
Nel 1613 sempre il Mischia è pagato scudi 4.90 “per un reliquairio d’argento con suoi cristalli et la cartina del Beato Padre, a Monsignor Ludovisio arcivescovo di Bologna”. In questi anni la Congregazione fa fare piccoli reliquiari “scatolini” con l’immagine incisa del santo, per farne doni. Nel 1615 (NOTA ACOR Decreti, nov. 1615 si decide “si faccino due reliquiari d’argento con le reliquie del Beato Padre, alli ambasciatori giapponesi”.
Almeno dal 1613 Tommaso Cortina realizza ogni anno il calice donato dal Magistrato di Roma; il suo costo è di 30 scudi che vengono versati dal committente. Realizza inoltre “due lampadini” per la cappella del Beato Padre, pagati 30 scudi. Lo stesso anno riceve altri 37 scudi “per varie opere et argento posto alle lampade e candelieri et teste d’argento della nostra sacrestia”. Nel 1615 nei Decreti (ACOR agosto 1615) si decide” che si facci una corona alla nostra Madonna, di rame indorato con alcune pietre false di spesa 25 scudi circa”; successivamente, nelle “giustificazioni di pagamento” (ACOR, giust. pag. 1615, c. 104) si danno 24 scudi “a M.o Domenico Lucidi gioielliere, quali sono per l’adornamento fatto alla Madonna della nostra chiesa, cioè per 16 pietre per la corona e per i castoni dove sono incastonate”. La corona citata nel documento è tuttora quella presente sull’ antico affresco dell’immagine miracolosa posta sull’altare maggiore.
Nel 1616 ( ibidem , c.126) si pagano 80 scudi a “Tomaso orefice a buon conto per fare il braccio d’argento di S.to Spiridione”. Sei mesi dopo altri 26 scudi per pagare il modello del braccio”. Molto probabilmente questa è l’unica reliquia conservata a Roma del santo greco, vissuto nel IV secolo. La reliquia della mano destra fu donata a Papa Clemente VIII nel 1592 e successivamente fu realizzato il prezioso reliquiario, purtroppo perduto.
Lo stesso Cortina nel 1616 (ibidem, c.200) è pagato” per imbiancatura delle lampade d’argento, accomodatura di doi candelieri, d’alcuni calici ed una coppa d’argento e per indoratura de’ calici di Carbognano”. La chiesa di Carbognano, fatta costruire dai Giustiniani, fu la prima ad essere dedicata a San Filippo Neri. La grossa cifra probabilmente si riferisce a interventi di restauro effettuati in occasione della beatificazione.
Nel 1617 Tommaso Cortina riscuote 450 scudi “per il reliquiario d’argento per le interiora del Beato Padre”. Dato il costo, doveva trattarsi di un’opera di pregio, purtroppo non rintracciata. Nel 1639 fu fatta una ricognizione della cassa dove era sepolto il santo e le reliquie delle interiora furono poste in un reliquiario d’argento ed in un altro i capelli ed un dente. Il reliquiario comunque era già stato realizzato dal Cortina nel 1617, e si dovette aspettare quindi l’apertura della cassa. Nel 1617 si fa una scatola della croce d’argento “dove sta la spina di Nostro Signore, giulii 3”. Nel 1619- 1620 il Cortina continua con i restauri di argenti vecchi e “l’imbiancatura” di quelli usurati, ricevendo 46 scudi. Nel 1622, alla vigilia della canonizzazione, riceve altri 28.10 scudi “per pulire e lucidare tutti gli argenti”.
Dagli “stati d’anime” si conoscono i nomi di diversi argentieri sepolti alla Vallicella, quasi certamente loro parrocchia, i quali potrebbero aver realizzato degli oggetti non citati nei pagamenti. Paolo Testone (1561- 1581) orefice e argentiere romano con casa e bottega in via del Pellegrino (Bulgari, ROMA II, p.440-441), Edmondo Poiart (1579-1582) orefice argentiere sepolto alla Vallicella ( Bulgari, ROMA II, p.292) ; Giovanni Battista Savini (1563-1593)orefice senese sepolto alla Vallicella ( Bulgari, ROMA, II, p.382); Girolamo Saraceni, 1628 – 1649 argentiere e gioielliere veneziano, garzone presso Cortina e Rancetti, sepolto alla Vallicella (Bulgari, ROMA II, p.377); Tommaso Garigliano, (1624- 1649) argentiere di Gaeta, nel 1630 risulta abitare in una casa di proprietà dell’Oratorio ( Bulgari, ROMA, I, pp. 494-495); Bernardino Magalotti, 1598- 1608 orefice di Pesaro, sepolto alla Vallicella (Bulgari, ROMA,II, p.70) ; Lorenzo Margutti, (1627-1649) argentiere sepolto alla Vallicella (Bulgari, ROMA II, p.85, bollo n. 655 “un leoncino”; Giovanni Mugini, (1607- 1647) argentiere, nel 1630 esegue due candelieri d’argento per 153,40 scudi e 12 calici del Magistrato di Roma, al prezzo di 30 scudi l’uno, lavora con Girolamo Cona al Pellegrino (Bulgari, ROMA II, pp. 184-187) ; Matteo Savorano veneto, gioielliere, nel 1597 è sepolto alla Vallicella (Bulgari ROMA, II,p382); Mario Venturini (1592-1652) orefice senese con bottega in via del Pellegrino, sepolto alla Vallicella ( Bulgari ,ROMA, II, pp. 525-526) ; Costantino Poppi orefice di Ancona (1598-1635) sepolto alla Vallicella (Bulgari, ROMA II, p. 304); Desiderio Chetò (1661-1681) borgognone con bottega all’insegna del “Toson d’oro”, fu sepolto alla Vallicella ( Bulgari, ROMA, I, p.285); Cesare de Martinis (1658-1694), argentiere con bottega in via del Pellegrino, dove lavorava insieme al padre Marco, all’insegna del “Cavallo d’oro”, fu sepolto alla Vallicella (Bulgari, ROMA, I, p. 388, bollo n. 464); Antonio Rosignoli (1645-1667)orefice pisano, sepolto alla Vallicella (Bulgari, ROMA, II, p. 351); Carlo Silvestri (1657-1682) e Pietro Silvestri (1681-1710) a capo di una delle botteghe più importanti dell’Urbe (Bulgari, ROMA, II, p. 410, bollo n.972); Giovanni Antonio Vincenti (1672-1695) argentiere di Perugia, sepolto alla Vallicella (Bulgari ROMA II, p 536, bollo n. 1081 un “liocorno”. E ancora Agostino Colleoni (1710-1738), argentiere di Gallese, con bottega all’insegna della “Abbondanza”, fu sepolto alla Vallicella (Bulgari, ROMA, I, pp. 307-308, n. 399). Infine a metà Settecento fu sepolto alla Chiesa Nuova l’argentiere messinese Alessandro Doria, con bottega in via del Pellegrino. (Bulgari, ROMA, I, p. 412, bollo n. 480)
Altri argentieri ed orafi abitavano in case di proprietà della Congregazione dell’Oratorio, nei pressi della chiesa loro parrocchia: Efrem Lambert orefice fiammingo (1612- 1614); Tommaso Lipelo orefice fiammingo (1612-1614) (Bulgari, ROMA, II, p. 49)
Continuando con le “giustificazioni di pagamento” troviamo il nome dell’argentiere Giovanfrancesco I Frangi (1610-1652) che nel 1627 realizza una “guantiera” d’argento pagatagli scudi 15.60.
Alla Chiesa Nuova si conservano tuttora alcune opere databili ai primi decenni, dopo la morte del Beato Padre: post-tridentini. Polimaterico, secondo una moda diffusa nel primo decennio a Firenze e Roma è il Tabernacolo-reliquiario in argento, metallo dorato, alabastro e pietre semipreziose, donato al convento dall’arcivescovo di Monreale Ludovico III de Torres (1551-1609). La preziosa fattura richiedeva il concorso di differenti maestranze: l’argentiere, il marmoraro, il gioielliere e l’architetto, come infatti dimostra il modello, mutuato dall’architettura proto-barocca romana. Il tabernacolo, situato sull’altare della cappella delle stanze abitate dal santo, conserva all’interno alcune reliquie: il calice personale del santo e i suoi occhiali. Quanto alla sua datazione il 1609, l’anno di morte del committente, costituisce un sicuro termine ante quem. Ovviamente il calice e gli occhiali sono precedenti è devono datarsi alla seconda metà del Cinquecento. Lo stesso prelato fece dono alla Vallicella anche del Reliquiario del velo della Madonna, in ebano, argento dorato, lapislazzuli, cristallo di rocca e pietre dure. La forma architettonica e la decorazione sono tipiche dei manufatti realizzati a Roma nei primi decenni del secolo. Dal momento che le due opere sono state pagate dal committente, non compaiono nelle “uscite” della Congregazione e pertanto restano anonime. Va detto infine che il prelato era persona di grande cultura ed aveva uno stretto e annoso rapporto di amicizia con il Baronio al quale nel 1607 subentrò alla direzione della Biblioteca Vaticana. Con quest’ultimo aveva a lungo cooperato nella stesura degli Annales, il cui tomo undicesimo gli venne dedicato. Ma cosa ben più importante, fu figlio spirituale e penitente di San Filippo Neri. Questa notizia conferma la lunga frequentazione dell’Oratorio da parte del de Torres e spiega il dono dei due preziosi reliquiari.
Negli anni poi si susseguono diversi argentieri per la realizzazione del calice del Magistrato di Roma: Mugini Giovanni (1607-1647) nel 1630 esegue due candelieri d’argento per 153,40 scudi e 12 calici negli anni 1632-1643 Giovanni Cacciamano (1628-1667) di Parma li realizza negli anni 1644-1648; negli anni 1653-1654 ne esegue due Corinzio Colleoni (1612-1656) .( Bulgari, ROMA, I, pp. 309-310, bollo n. 402) Domenico Brandi ( 1647-1669) nel 1664 è pagato 300 scudi per un calice d’oro commissionato da Ludovico Ginocchi; nel 1666 riceve altri 230 scudi per il restauro delle teste dei SS. Papia e Mauro Bulgari, ROMA, I, p 209). Nel 1688 il figlio Vincenzo realizza un tabernacolo in metallo per il cardinale Leandro Colloredo. Gran Penitenziere, di origine friulana, a Roma da giovane, il prelato fu affidato alle cure dell’oratoriano Federico Savorgnan. Nel 1653 entrava a far parte dell’Oratorio; nel 1663 veniva ordinato sacerdote; ricoprì importanti incarichi: maestro dei novizi, deputato a portare la “berretta” di san Filippo Neri agli ammalati e bibliotecario. Nel 1686 ottenne il cardinalato con il titolo dei Ss. Nereo e Achilleo. Mori nel 1704 e il suo funerale avvenne alla Vallicella, dove fu sepolto, lasciando erede universale l’Oratorio. Nel 1710 fu scolpito in marmo il suo stemma gentilizio nel presbiterio ed una lapide nel coro nel 1714. (Nota F. Petrucci, in D.B.I, ad vocem 27- 1982)
Negli armadi della sacrestia della Chiesa Nuova si trovano altri argenti ed arredi sacri che non è stato possibile confrontare con i documenti. Al 1640 si data la muta di candelieri e croce da altare in bronzo dorato, commissionata da Boncompagni Corcos per l’altare della sacrestia, dove fu posta la statua di San Filippo Neri dell’Algardi . Alla metà del XVII secolo risale un Reliquiario ad ostensorio sorretto da due putti in lamina di argento, su base e anima lignea, secondo un modello assai diffuso nell’argenteria romana dell’epoca. ( Pedrocchi, 2010, n.93, p. 66) A fine secolo può datarsi un Secchiello per l’acqua lustrale in lamina d’argento sbalzata e cesellata, opera di un anonimo argentiere romano . (Pedrocchi, 2010, n. 116, p. 73)
Negli anni 1691- 1708 Natale Migliè borgognone (1673-1720) realizza numerosi lavori per la Vallicella che gli sono pagati 1426.89 scudi, in particolare per lampade, posate e un reliquiario. Nel 1665, prima della patente, esercita l’attività presso Desiderio Chetò, sepolto alla Vallicella. Presso Migliè lavora Giovanni Bouchard di Liegi (1690-1712), che nel 1692 risulta avere bottega sulla piazza della Chiesa Nuova, all’insegna dei “tre gigli di Francia” (NOTA Bulgari ROMA I, pp. 204-205, bollo n. 311, ROMA II, p.148, bollo n.723 un’“ancora”).
Forse sono di Migliè i quattro reliquiari ad ostensorio in bronzo dorato, argento e lapislazuli da considerarsi un unicum nell’argenteria romana per la decorazione “ a rocce” e la resa naturalistica dell’albero di palma che, con i suoi rami, riquadra la piccola teca. E’ evidente che l’argentiere si sia ispirato ad un tipico motivo del barocco berniniano presente nell’architettura, nella scultura e nella mobilia seicentesca. (Pedrocchi, 2010, n. 131, p. 77) Tra la seconda metà del XVII secolo e quella del XVIII secolo, si collocano diverse mute di candelieri da altare , torcieri e cartegloria per lo più in metallo argentato anche se non mancano pochi esempi in argento. (Pedrocchi 2010, n.164, p. 86; n. 171, p. 89)
Eustachio Ottini (1724-1744), incisore di pietre, nel 1724 riceve 10 scudi per un reliquiario d’oro donato al duca di Gravina. In questo anno Pier Francesco Orsini duca di Gravina è eletto papa col nome di Benedetto XIII 1724. ( G. De Caro ad vocem in D.B.I., 1966)
All’ultimo quarto del XVIII secolo appartiene l’orafo e argentiere viterbese Girolamo Francescoli (1776-1802), con bottega alla Chiesa Nuova, dove fu sepolto. Nel 1779 viene pagato 223.94 scudi per una lampada per la cappella di S. Filippo Neri; nel 1797, 483 scudi per quattro candelieri in rame dorato, bugia, secchiello, pace, due aspersori, bacile e boccale d’ottone argentato, un ostensorio in argento e metallo dorato, più altri lavori per la sacrestia (Bulgari, Roma, I, p. 459, bollo n. 515)
Notizie d’archivio per le opere del XIX secolo non sono state trovate ma queste sono state riconosciute per la presenza dei bolli propria dell’argenteria romana: P.P. Spagna realizzava un calice in argento negli anni 1817-1861 (Pedrocchi, 2010, n.284, p. 121) Entro la prima metà del secolo si data una Lampada pensile presente nella cappella di San Filippo Neri, non bollata ma sicuramente di mano di argentiere romano. Al 1837 si può datare il Reliquiario del beato Valfrè, commissionato dal principe Vittorio Massimo e dalla moglie Gabriella Savoia Carignano. (Pedrocchi, 2101, n. 333, p. 134) Datati 1858 sono il turibolo e navicella in argento sbalzato e cesellato realizzati da Vincenzo II Belli tra i più ammirati argentieri romani, tra il 1828 e il 1859. ( Pedrocchi, 2010, n. 382, p. 148) E ancora dalla sua bottega usciva in quegli anni il Reliquiario della croce. (Pedrocchi, 2010, n. 384, p. 148)
Purtroppo questa indagine sugli argentieri e le argenterie della Chiesa Nuova risulta incompleta: ci fa tuttavia conoscere i nomi ed i costi di fattura di numerosi maestri che lavorarono nel XVII e XVIII secolo; ulteriori ricerche potrebbero servire per aumentarne la conoscenza ed il loro operato; si è visto ad esempio che il repertorio del Bulgari non riporta la maggior parte delle opere realizzate per la Vallicella e già questo è un buon risultato.
Al termine di questo lungo elenco di argentieri e orefici si può constatare la grande attenzione sempre prestata dalla Congregazione dell’Oratorio, per le suppellettili sacre. Tutti i nomi citati erano già noti al repertorio del Bulgari, alcuni con estese biografia, altri con modeste citazioni. Così la maggior parte delle opere rinvenute nei documenti dell’archivio del convento e tuttora presenti, si devono considerare delle assolute novità che vanno ad integrare le conoscenze attuali. Nel difficile tentativo di rinvenire i pezzi citati nei pagamenti, a confronto con ciò che è ancora esistente, si è trovato ben poco, anche perché le descrizioni degli oggetti sono piuttosto sintetiche. A suo tempo, nel 2010, nel mio repertorio sugli argenti presenti nelle sacrestie romane avevo pubblicato diversi arredi sacri, alcuni dei quali non attribuibili in quanto sono realizzati metallo o, se in argento, perchè privi dei bolli identificativi dell’anno di esecuzione e dell’autore e come tali, dati genericamente a “maestranze” anonime. (A.M. Pedrocchi, Argenti sacri nelle chiese di Roma dal XV al XIX secolo, Roma 2010)
[1] Il Sansedoni citato dovrebbe essere il nobile senese Giulio (1551-1625) che fu teologo, presbitero nel 1577, vescovo di Grosseto nominato da Paolo V nel 1606
[2] C. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia, ROMA 1959, II, pp. 422-423; Xavier Salomon, The goldsmith Pietro Spagna (1561-1627): argentiere to Cardinal Pietro Aldobrandini (1571-1621) British School of Rome on line 2006, pp. 339-370
[3] Angelo Andosilla decano delle Segnature di Grazia e Giustizia
Documenti sugli argentieri attivi alla vallicella
Nel 1639 fu fatta una ricognizione della cassa dove era sepolto san Filippo; le reliquie delle interiore furono poste in un reliquiario d’argento e in un altro i capelli e un dente
Nel 1598 si pongono sull’altare maggiore le teste dei SS. Nereo, Achilleo, Domitilla e Orsola
Il 21 dicembre 1603, fu posta la testa d’argento sopra la testa del B.F. fatta dall’orefice M. Tommaso Cortina nella quale vi sono 18 scudi di argento e 24 scudi per la fattura che di tanto si è contentato detto M.o Tommaso per sua devozione. (era fratello laico dal 1610)
Nel 1611 Tommaso Cortina faceva sette medaglie utilizzando il disegno di Ludovico Leoni del 1590 per Federi Borromeo
Filippo possedeva un reliquiario donatogli da Federico Borromeo contenente il legno della croce e le ossa dei SS. Pietro e Paolo quindi anteriore al 1595
Filippo diceva messa solo col suo calice personale
Enrico IV donò un calice (rubato)
Nel 1616 Tommaso Cortina esegue il calice del Popolo Romano, scudi 32
1617 per una scatola della croce d’argento dove sta la spina di N.S., giulii 3
1619 Tommaso Cortina è pagato 6 scudi a bon conto dell’imbiancatura d’argenti et altre fatture
E’ ancora nel 1620 altri 10 scudi e ancora nel 1622 scudi 30 emette ricevuta
Bouchard Goffredo /1690- 1712 ) di Liegi è indicato nel 1692 con bottega in piazza della Vallicella
Brandi Domenico (1647-1669: nel 1664 scudi 300 per un calice d’oro commissionato da Ludovico Ginocchi; nel 1666 scudi 230 per il restauro delle teste dei SS. Papia e Mauro
Brandi Vincenzo (1688) figlio di Domenico, per il card. Colloredo esegue un tabernacolo di metallo
Cacciamano Giovanni (1628- 1667) di Parma esegue 4 calici SPQR 1644, 1646, 1647, 1648.
Chetò Desiderio (1661-1681 borgognone sepolto alla Vallicella
Clanazzi Marco gioielliere e incisore di gemme (1630-1640) bottega alla Chiesa Nuova
Colleoni Agostino (1710 1738) sepolto Vallicella
Colleoni Corinzio (1612-1656) due calici SPQR 1653-1654 Realizza due calici per il Magistrato di Roma (Bulgari, ROMA, I, pp.309-310, n.402
Cona Girolamo (1589 -1618) argentiere e orefice lombardo, con bottega in via dei Banchi Vecchi; nel 1594-96 è pagato scudi 65 per diversi lavori ; sepolto alla Vallicella. Mandato di pagamento (c.410) [Cona] argentiero per fatture di lavori. Otto calici indorati con la sua patena a scudo uno l’uno = scudi 8”. Spese per la sacrestia di gennaio 1607. (Bulgari, ROMA, I, pp. 313-314)
(c. 264) “ Il 10 giugno 1608 Si pagano scudi 30 moneta sono per la valuta di venti zecchini per indorare la cassetta di rame che fa M.o Girolamo Cona argentiero per le nostre reliquie”. Il 16 febbraio 1608 si erano dati 100 scudi al Cona “a bon conto per la cassetta che fa per le reliquie”
Spese sacrestia giugno 1607 (c.414) “Adi 23 detto scudi 1 e bb.70 all’argentiero per haver acconciato la croce del Cardinale Antoniano che era guasta et rifatto la corona di spine che era persa, essendo stata prestata”
Il 14 marzo 1609 (c. 103) si pagano “scudi 100 a M.o Geronimo Cona argentiero per resto del prezzo di due cassette d’argento fatte da detto M.o Geronimo per le reliquie”. Il 4 settembre 1609 (c. 265) si danno “al P.M. Giuliano Giustiniani scudi 12 moneta sono per pagare l’argentiero [Cona] per diverse fatture per la nostra sacrestia dalli 23 di luglio fino al presente giorno”. A dicembre del 1609 (c.352) si danno” scudi 100 a Geronimo Cona a bon conto per le due cassette delle reliquie”. Il 3 marzo 1610 (c. 75) si pagano” 36 scudi all’argentiero (Cona) per molte fatture per la nostra chiesa”
Cortini Tommaso (1600-1627) argentiere e orafo abruzzese, lavora con Gabriele Rancetti. Riceve 165 scudi per lavori di restauro e scudi 224 negli anni 1616-1617 e scudi 224 negli anni 1616-1617.
Non è improbabile che alcune opere in ebano e argento siano di sua mano: nel 1613 è pagato da Paolo V per “un quadro d’ebano guarnito d’argento e gioie con l’Historia quando il Salvatore portò la croce al Calvario” 470 scudi; nel 1604 aveva eseguito un reliquiario per la basilica di S. Cecilia in ebano e argento, pagato 200 scudi.
Il 10 gennaio 1609 (c.9) si pagano 21 scudi a M.o Tommaso Cortini argentiero per resto di scudi 56 quali doveva havere per diversi lavori fatti per la nostra chiesa”. Il 16 dello stesso mese (c.20) si danno” scudi 9, bb. 5 a Tomaso argentiero sono per oncie tre et mezzo di argento et per fattura sua in accomodare le due teste de ‘S.ti Nereo e Achilleo, acciò si potessero mettere le reliquie”. Il 18 settembre 1610 (c. 284) “vi piacerà pagare a M.o Giovan Tomaso orefice scudi 10,60 moneta sono per diverse fatture et per il più sopra del calice dorato del Popolo Romano, Tomaso Cortini”. L’1 aprile 1611 (c.97) si paga “M.o Tomaso orefice scudi 19 per una coppa donata al Sig. Angelo Andosilla avvocato della casa”.
L’8 agosto 1613 (c. 139) M.o Tommaso orefice riceve scudi 34 di moneta sono per fattura d’una croce et altre cose per la nostra sacrestia, ricevuta di T. Cortini
Il 30 luglio 1615 (c. 128) “scudi 37 a M.o Tomasso orefice per varie opere et argento posto nelle lampade e candelieri et teste d’argento della nostra sacrestia”.
L’8 giugno 1616 (c. 126) scudi 80 a Tomasso orefice a buon conto per fare il braccio d’argento di S.to Spiridione” Il 19 dicembre 1616, scudi 26 per pagare il modello del braccio”.
Il 7 luglio 1616 (c.140) scudi 30 a Tomasso orefice per il calice donatoci dal Popolo Romano per la festa del Beato Padre”.
Il 13 ottobre 1616 (c. 200) a Tomaso Cortini per imbiancatura delle lampade d’argento, accomodatura di doi candelieri, d’alcuni calici ed una coppa d’argento e per indoratura de’ calici di Carbognano”. (Bulgari, ROMA, I, p. 324)
De Marchis Lorenzo (1594- 1629) orefice romano con bottega in via del Pellegrino. (Bulgari, ROMA, I, p. 387, bollo n. 463)
De Martini Cesare (1658- 1694) sepolto alla Vallicella
Doria Alessandro (1736- 1767) sepolto alla Vallicella,
Francescoli Girolamo (1776-1802) argentiere e orefice viterbese con bottega alla Chiesa Nuova, dove fu sepolto. Pagato nel 1779, scudi 223,94 per lampada cappella san filippo; 1797 scudi 483 per 4 candelieri in rame dorato, bugia, secchiello, pace due aspersori, bacile e boccale d’ottone argentato ostensorio in argento e metallo dorato, più altri lavori per la sacrestia. (Bulgari, ROMA, I, p 459, bollo n. 515
Frangi Gianfrancesco I (1610. 1652) argentiere romano con bottega in via del Pellegrino nel 1627 riceve scudi 15,60 per una guantiera d’argento
Garigliano Tommaso (1624 c.- post 1649) nel 1630 abita in via del pellegrino in una casa Vallicella
Gentili Antonio (1561-1609)
Il 20 febbraio 1607 si pagano 25 scudi moneta a M.o Pietro argentiero [ Gentili] a bon conto della testa d’argento di S.to Papia che fa per noi”. “Adì 15 di marzo 1607 (c.284) scudi trenta moneta per pagare a bon conto al maestro che fa le teste di argento de S.ti Papia e Mauro”. Mandato di pagamento: (c .61) “Adì 5 di marzo 1606 Il P.M. Giulio Cesare Paltroni vi piacerà pagare al P. M. Egidio Bocchi scudi 50 di moneta sono per darli a M.o Antonio da Faenza a bon conto dell’argento che lavora nel fare le teste dei SS. Papia e Mauro”.
Il 16 febbraio 1608 (c. 380) si danno scudi 50 a bon conto della testa che fa M.o Pietro Spagna”.
Il 15 marzo 1608 (c. 349) si pagano “scudi 37 per la valuta di zecchini 25 per dare a M.o Pietro Spagna argentiero per indorare il rame della testa di S. Mauro, che esso fa”. Mandato pagamento c.202 “Adì 16 di giugno 1606 vi piacerà pagare al P.M. Egidio Bocchi scudi cinquanta moneta sono per pagare a M.o Pietro, figlio di M.o Antonio da Faenza argentiero a’ conto dell’argento messo in una testa di S. Papia che fa per la nostra chiesa”. Mandato Pagamento c.92 ) “Adì 15 di ottobre 1607 Rev. P.M- Giulio Cesare Paltroni vi piacerà pagare… scudi cento di moneta sono per pagarli all’argentiero Pietro Spagna che fa la testa di S.Mauro, a bon conto”. Il 22 ottobre 1607 (c.95) vi piacerà pagare “scudi trentadue bb. 41 di moneta sono scudi ventuno et bb. 41 per spese fatte nella sacrestia nel mese di 7mbre… et scudi dodeci pagati a M.o Nicolò [Cordier] detto il Franciosino per un modello di creta fatto per la testa di S.Mauro” Il Cordier a Roma giovanissimo aveva iniziato inizia intagliatore di legno.
“Adì 6 di aprile 1607 scudi trenta moneta sono per dare a M.o Pietro Gentili a’ conto della testa di argento di S.to Papia “(c.264)
“Adì 14 di maggio 1607 (c.225) vi piacerà pagare scudi 83,bb.20 moneta sono per pagare a M.o Pietro Gentili argentiero per saldo et resto di scudi 268,bb.20 che è andato in argento, rame, ferro e fattura della testa di S. Papia, fatta per la nostra chiesa”. (c. 322)” L’11 aprile 1608 si pagano scudi 99, bb.70 moneta a M.o Pietro Spagna argentiero per saldo ed ultimo pagamento della roba et manifattura della testa di S. Mauro ch’esso ha fatto per la nostra chiesa quale testa in tutto ascende al valore di scudi 285”
Lambert Efrem orefice fiammingo 1612-163 nella parrocchia della Vallicella
Lipelo Tommaso orefice fiammingo 1612-1614 registrato parrocchia Vallicella
Lucidi Domenico gioielliere è pagato il 19 sett. 1615 (c. 104) “quali sono per l’adornamento fatto alla Madonna della nostra chiesa cioè per sedici pietre per la corona e per i castoni dove sono incastonate”.
Magalotti Bernardino (1598-1608) orefice sepolto Vallicella
Mannottoli Antonio (1675 1676) nel 1675 40 scudi per due “sgabelletti” d’argento per altare di san filippo
Mannottoli Lorenzo (1676-1724) negli anni 1698-1705 è registrato in una casa della Vallicella
Margutti Lorenzo (1627-1649) sepolto alla Vallicella
Migliè Natale ( 1673-1720) negli anni 1691-1708 esegue numerosi lavori per la vallicella gli sono pagati scudi 1426,89 per lampade, posate e reliquiario
Moretti Alessandro (1629-1649) nel 1626 pagato scudi 6,30 come diamantaro; 1626-1631 registrato in casa proprietà vallicella
Mugini Giovanni (1607-1647) nel 1630 esegue due candelieri d’argento per scudi 153,40 e 12 calici SPQR 1632-1643)
Ottini Eustachio (1724-1744) incisore di pietre; 1724 riceve 10 scudi per un reliquiario d’oro donato al duca di Gravina
Palalri Girolamo (1709-1721) nel 1722 tiene bottega in piazza Chiesa Nuova
Poeta Angelo (1688-1705) gioielliere registrato in casa di proprietà vallicella
Poiart Edmondo (1579-1581) sepolto alla vallicella
Poppi Costantino (1598-1635) orefice sepolto vallicella
Rancetti Giorgio (1588-1610) fiorentino dal 1597 collabora con T. Cortina con cui abita, nel 1604 lavorano per s. Cecilia e ricevono scudi 200 per un reliquiario di ebano e argento
Rosignoli Antonio (1645-1667) sepolto vallicella
Rota Vincenzo (1682- 1716) gioielliere dal 1692/95 in una casa di proprietà della vallicella
Saraceni Girolamo (1628. 1649) sepolto vallicella
Savini G.B. senese 1563-1593) sepolto alla vallicella
Savorano Matteo 1597 gioielliere sepolto vallicella
Silvestri Carlo (1657-1681) sepolto vallicella
Silvestri Pietro 1681-1710, sepolto vallicella
Stivani Pietro 1709-1737 casa e bottega della vallicella
Testone paolo 1561-1581) sepolto vallicella
Venturini Mario 1592-1652 sepolto vallicella
Vangioli Paolo 1742-1752), 1749-1757 bottega e casa in piazza vallicella
Vincenti Giov. Antonio 1672-1695, sepolto vallicella
Questa è un’indagine sugli argentieri e gli orefici gravitanti, a vario titolo, interno alla chiesa di S. Maria in Vallicella.
Ad esempio molti hanno la bottega sulla piazza della Chiesa Nuova e sulle vie adiacenti, ma non compaiono nei mandati di pagamento. Non si può escludere tuttavia che non avessero realizzato qualche restauro dei vecchi argenti o piccoli lavori.
Fra questi è citato Goffredo Bouchard (1690-1712) di Liegi che nel 1692 risulta avere bottega sulla piazza (Bulgari ROMA I, pp. 204-205, bollo n. 311)
Clanazzi Marco 1630-1640) fiorentino, gioielliere e incisore di gemme, risulta avere bottega alla Chiesa Nuova ( Bulgari , ROMA, I, p. 297)
Altri argentieri avevano trovato sepoltura nella chiesa:
Chetò Desiderio (1661-1681) borgognone, con bottega all’insegna del “Toson d’oro”. (Bulgari, ROMA, I, p. 285
Colleoni Agostino (1710-1738) argentiere di Gallese, con bottega all’insegna dell’ “Abbondanza”. sepolto alla Vallicella.(Bulgari, ROMA, I, pp. 307-308, n. 399)
De Martinis Cesare (1658- 1694) argentiere con bottega in via del Pellegrino, dove lavora insieme al padre Marco, all’insegna del “Cavallo d’oro”, sepolto alla Vallicella. (Bulgari, ROMA , I, p.388, bollo n. 464)
Doria Alessandro (1736-1767) argentiere messinese, con bottega in via del Pellegrino, sepolto alla Vallicella (Bulgari, ROMA I, p. 412, bollo n. 480)
N.B. Tutti i documenti qui citati si trovano in ACOR, Giustificazioni di pagamenti ad annum