La “SS. Trinità dei Pellegrini”: un’ipotesi per Livio Agresti

Sullo scalone del Palazzo del Commendatore dell’Ospedale di Santo Spirito in Saxia, è esposta una grande pala raffigurante la SS. Trinità adorata dai confratelli e dai pellegrini, qui trasferita negli anni Trenta del XX secolo, dai dismessi ambienti dell’Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini, insieme ad altre opere. La tela era stata individuata, come opera di anonimo, durante la schedatura delle opere d’arte conservate al Santo Spirito, da parte della allora Soprintendenza alle Gallerie di Roma e del Lazio; successivamente (1998) il dipinto è stato pubblicato[1] come opera di un anonimo pittore settentrionale della seconda metà del Cinquecento. Se la datazione è calzante, non esatta è l’attribuzione alla cultura pittorica nord – europea. Come si deduce da tutti gli inventari citati in nota, in diversi ambienti del complesso ospedaliero, si trovavano raffigurazioni della SS.Trinità, di varie tipologie e formati; la pala in questione, quasi certamente tra quelle elencate,deve aver cambiato luogo attraverso i secoli, fino al 1838 quando sembra presente nel <<dormitorio di S.Filippo>>. [2].
La grande pala, sottoposta a restauro diretto dalla scrivente, per conto della Soprintendenza (2007,) ha rivelato una discreta qualità pittorica e vivaci impasti cromatici, propri della pittura manieristica romana della seconda metà del XVI secolo. Da qui, a risalire al nome dell’artista che l’ aveva eseguita, la ricerca si è presentata particolarmente impervia. Nessuno dei tanti nomi di pittori citati nel <<Libro delle Uscite>>della Compagnia in questi anni, può essere preso in considerazione, trattandosi in prevalenza di artigiani-decoratori[3]. (Fig.1)

save0208-2

Fig.1 Logo del frontespizio degli Statuti della Confraternita, 1548.

A soccorrerci  sono stati individuati due disegni che possiamo ritenere preparatori, specialmente il primo, segnalatomi gentilmente da Giovanna Sapori; l’opera, in collezione privata in Svizzera (fig.2) è attribuita ad un anonimo artista dell’Italia Centrale della seconda metà del XVI secolo, a confronto con un disegno del marchigiano Filippo Bellini (Monaco di Baviera Staatliche Graphische Sammlung,inv.n.2602), raffigurante Cristo crocifisso adorato dai sodali della Confraternita di S. Rocco, schizzo preparatorio per uno stendardo processionale (fig.3).

untitled

save0085-3

Fig.2 M. Venusti Trinità con i Confratelli e i Pellegrini

Fig.3 F. Bellini, Schizzo per lo stendardo di S. Rocco

Oggi invece il primo disegno può essere dato,per evidenti riscontri stilistici  a Marcello Venusti (1512-1579) databile al 1573 circa, ipotesi confortata da Francesca Parrilla, che ha in preparazione la monografia sull’artista. Già Laura Russo, nel suo studio sul pittore, aveva pubblicato un disegno affine raffigurante la SS. Trinità (fig.4) (Darmstadt ,Hessisches Landesmuseum, ponendolo giustamente a confronto con l’altorilievo di uguale soggetto, di Jacopo del Duca nella chiesa di S. Maria in Aracoeli[4]. A questo punto i due disegni di Venusti costituiscono un termine ante quem per la tela in oggetto che riteniamo eseguita per l’Anno Santo del 1575[5].

unnamed-2

Fig.4 M.Venusti, SS. Trinità

Dal 1562 e fino alla morte nel 1573, il cardinale protettore della Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini era stato Otto Truchsess von Waldburg di Augusta (1514- 1573), personaggio molto vicino a San Filippo Neri e all’ambiente dell’Oratorio, vicinanza che gli era valsa il “protettorato” della SS. Trinità[6]. Il prelato tedesco aveva preso molto a cuore il suo incarico, come si evince da un decreto da lui emanato il 9 luglio 1562:<< Volemo et dechiaramo che s’occorrerà far spesa alcuna in resarcire, refare, et mantenere niun tetti e mattonati di detta chiesa, che si faccia a spese comuni di detta Compagnia et Rettore, ma facendosi fabrica nova o ampliatione di chiesa, le elemosine debbono essere utilizzate a tal fine>>.[7] Questo documento ci introduce immediatamente nel grosso problema finanziario in cui si dibatteva la Compagnia in questi anni avendo dovuto affrontare enormi spese per la costruzione del nosocomio, indispensabile a svolgere le attività caritative che si era prefissa[8]. Il cardinale di Augusta, uomo di vasta cultura, fu anche un grande collezionista e mecenate sostenendo economicamente numerose confraternite e pagando di tasca propria opere d’arte, commissionate anche per il suo titolo cardinalizio; a lui, ad esempio si deve la realizzazione dell’affresco del catino absidale della chiesa di S. Sabina, suo titolo dal 1550 al 1561, affidato a Taddeo Zuccari (1559-1560).  l’artista doveva riproporre l’antico mosaico paleocristiano (IV sec. d.C.) ormai fatiscente. Gli studi del Baronio che aveva iniziato le sue “ letture” nel 1559, sulla Chiesa delle origini, stavano facendo proseliti a favore di un revival tanto sostenuto dalla Controriforma; sembra addirittura che il cardinale di Augusta sia stato il primo a mettere in pratica l’insegnamento dello storico oratoriano[9. E’ ipotizzabile che il prelato si fosse assunto l’onere di sostenere la spesa della grande pala per la Trinità dei Pellegrini, chiedendone il disegno al Venusti, al quale aveva commissionato il suo ritratto, opera perduta ma citata nel suo inventario post mortem.[10] E’notorio che l’artista, in questi primi anni dell’ottavo decennio, era preso da molti incarichi ufficiali: Cappella Mutini in S. Agostino (post 1565), Cappella Torres in S. Caterina dei Funari ( 1570-1572); l’Adorazione dei pastori in S. Silvestro al Quirinale (1573) e diverse altre opere alla Minerva (1570-1573). Si trattava di tutte prestigiose commissioni pubbliche, tanto da dover procrastinare la realizzazione della pala per la SS. Trinità dei Pellegrini, un’opera praticamente “privata“, in quanto destinata agli ambienti interni di un ospizio, probabilmente l’oratorio, dove già nel 1570 si trovava, sulla parete di fondo, un altare in legno dipinto. Da una lunga e capillare ricerca nelle carte dell’archivio della Confraternita non è emersa alcuna notizia relativa al nostro quadro se non la citazione inventariale;ciò confermerebbe che non fu pagato dalla confraternita ma da un benefattore. Nel 1600 in un Breve compendio del modo che si teneva nell’Hospedale della Ss.ma Trinità di Roma è descritto l’ambiente in cui si tenevano le varie attività della Confraternita; alle pareti erano appesi alcune immagini sacre tra cui <<una immagine della SS.ma Trinità che quivi in un quadro era dipinta>>:potrebbe trattarsi della tela in questione anche se non se ne ha la certezza. [11]

Probabilmente i molti lavori e poi la malattia, che porterà il Venusti alla tomba nel 1579, costrinsero i confratelli a rivolgersi ad un altro pittore per la realizzazione della loro pala. Niente di più ovvio supporre, a questo punto, che la scelta cadesse su Livio Agresti (1508- 1579 c.) “protetto” del cardinale di Augusta. L’artista aveva iniziato l’ attività a Forlì, sua città natale; alla fine degli anni Quaranta era a Roma, dove risulta presente nel cantiere farnesiano di Castel Sant’Angelo; nel 1553 è iscritto alla Compagnia dei Pittori di San Luca; nel 1554 e poi fino al 1578 lavora in tre cappelle nella chiesa di S. Spirito in Saxia. Per il cardinale tedesco lavora a Narni , ad Amelia e a Terni; nel 1569 è attivo nel cantiere dell’Oratorio del Gonfalone dove dipinge L’Ultima Cena e, nel 1571 la Salita al Calvario, dove, non a caso, il prelato è “guardiano” del sodalizio, figura che, insieme al camerlengo, aveva un ruolo sostanziale nelle scelte artistiche per le decorazioni del luogo. Infine nel 1575 dipinge la Pala Pelucchi in S. Maria della Consolazione. L’Agresti negli ultimi anni si era ritirato all’Ospedale di S. Spirito dove poi moriva: un luogo che gli era familiare per avervi lavorato a lungo ed inoltre legato strettamente sia all’ Oratorio Filippino sia alla Trinità dei Pellegrini, come scrive il Baglione :<< prima di accomodarsi in questo luogo di Santo Spirito dove trascorse li ultimi anni e morì>>.

Nella quadreria dell’ospedale si conserva una tavola raffigurante la Sacra Famiglia, s. Giovannino, Tobiolo e l’angelo, attribuita dalla Cardilli all’Agresti che potrebbe averla dipinta, a mio avviso, negli ultimi anni quando si trovava al Santo Spirito, in ringraziamento dell’ospitalità ricevuta dal nosocomio, e non a metà secolo come detto dalla studiosa.[12]

Nei primi due decenni della permanenza a Roma la cifra stilistica dell’Agresti non è ancora del tutto autonoma, aperto come è alle tante suggestioni dell’ambiente romano, cui si aggiungevano quelle tangenze con l’arte nordica apprese durante il viaggio in Germania al seguito del cardinale ( 1564-1565).[13] Le opere al Gonfalone mostrano un pittore ormai affermato, con un suo stile ricettivo dei dettami michelangioleschi,  recepiti in particolare tramite il Venusti: si noti ad esempio la figura del Cristo crocifisso che vide larga diffusione ad opera della stampa di Giulio Bonasone[14].

la-ss-trinita-con-tre-pellegrini-e-tre-confratelli-dopo-02-003

Fig.5 L. Agresti, SS. Trinità dei Pellegrini

Il confronto stilistico tra i disegni citati di Venusti e il dipinto in questione denota, per quest’ultimo, una mano più modesta. L’apparato iconografico del quadro, desunto dai numerosi stendardi processionali, purtroppo perduti, deriva direttamente dal “logo” della Arciconfraternita presente sul frontespizio degli Statuti, che ebbero una prima stampa nel 1548 ed una ristampa nel 1578. (fig.1)  Al centro è raffigurata la SS. Trinità, adorata dai pellegrini, a sinistra, e dai sodali in veste rossa, a destra. Sullo sfondo si intravede una città, probabilmente una veduta ideale di Roma, mentre a destra, dietro il gruppo di figure in primo piano, si nota un edificio romano in rovina posto nella campagna romana, forse allusivo al percorso dei pellegrini per raggiungere  Roma. In alto infine, a riempire lo spazio vuoto del cielo, troviamo due coppie di angeli in volo, assenti nel disegno del Venusti e quindi forse richiesti dall’Arciconfraternita. E’ più che certo che la scelta del soggetto fu imposta dai confratelli: si doveva raffigurare il Thronum Gratiae, con il Cristo ancora sulla croce sostenuta dalle braccia aperte dell’Eterno; questa tipologia era piuttosto diffusa nella pittura manieristica dell’epoca: si veda ad esempio la pregevole Trinità che Durante Alberti, di lì a poco, avrebbe dipinto per la chiesa di S. Tommaso di Canterbury (1583). Nella seconda metà del Cinquecento anche G. Siciolante da Sermoneta raffigurava la SS. Trinità, nel quadro con il Martirio di S. Caterina d’Alessandria, nella cappella Cesi in S. Maria Maggiore (1567 c.), Nicolò Circignani affrescava una Trinità nella chiesa di S. Maria di Loreto e Matteo da Lecce,nel catino absidale di S. Eligio degli Orefici. E’ interessante osservare che anche Guido Reni, cinquanta anni dopo, avrebbe dovuto adottare ancora l’antica iconografia per la superba pala dell’altare maggiore della chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini (1625). [15] Se quello del Thronum Gratiae è un tema abbastanza diffuso nella pittura,  non così la presenza di figure ai lati del soggetto centrale.

È noto che i membri di un sodalizio potevano far pesare in misura determinante i loro gusti artistici e le loro idee e ancora di più i confratelli religiosi come gli Oratoriani, sicuramente i più influenti nel contesto culturale dell’arte religiosa a Roma nella seconda metà del Cinquecento, con varianti talvolta radicali sia sul piano stilistico che iconografico, influendo anche all’interno della produzione di uno stesso artista.    Questo potrebbe spiegare la severità post-tridentina del dipinto, poco incline al manierismo “profano” di Agresti. A questo punto, è necessario, chiedersi se stilisticamente il nostro dipinto trovi qualche tangenza probante con le sue opere note.Sono evidenti infatti quell’aria nordica, che emerge dal contesto pittorico della tela suddetta, l’impostazione generale della struttura compositiva, la costruzione verticale, la mancanza della resa prospettica, faccia parte di quel bagaglio insito nell’arte dell’Agresti, rafforzato dall’andata in Germania; si aggiunga poi la grande esperienza acquisita nel cantiere del Gonfalone, cultura da cui deriva il già ricordato Cristo di maniera michelangiolesca. Il Padre Eterno ricalca quasi pedissequamente, nella postura del corpo e nel panneggio, il disegno del Venusti, mentre quella strana capigliatura canuta a grosse ciocche lanose è confrontabile con figure di vecchi e profeti affrescate spesso dall’Agresti. Le fisionomie fortemente caratterizzate dei tre confratelli, e forse anche quelle dei pellegrini, possono considerarsi sicuramente dei ritratti. I sodali indossano la veste rossa della Compagnia, come era stato stabilito già in un decreto del 1550:” che il sacco sia di tela rossa con bottoni uguali (…), dovranno i confratelli portare i capelli sciolti tanto se siano naturali quanto fittizi ed avere il collo decentemente coperto di roba bianca o nera con calzette e fibbie alle scarpe”[16].  Il confronto stilistico più probante è , da una parte,tra i putti sulle nubi intorno alla Trinità , con quelli della Pala Pelucchi in S. Maria della Consolazione, dipinta dall’Agresti poco prima del 1575, quindi coeva al nostro quadro, e dall’altra con il Bambino Gesù della pala con la Circoncisione ed i SS. Monica ed Agostino realizzata nel 1560 per il Duomo di Terni (ora nella Pinacoteca Comunale). Questi putti hanno tutti la fronte eccessivamente spaziosa e bombata, con i riccioli disegnati in punta di pennello, che li fanno sembrare di mano di un artista tedesco. D’altronde durante il lungo soggiorno in Germania l’artista doveva aver visto tante opere e aver acquistato delle incisioni che potevano tornargli utili al suo rientro in Italia. Giustamente Strinati ha visto nella pala Pelucchi “movenze fiorentine amalgamate a citazioni esplicite di una tradizione nord-europea”. Dietro l’opera c’è l’esperienza di Perin del Vaga, suo primo maestro, dei pittori di Orvieto e della pittura fiorentina, appresa attraverso la cordiale collaborazione col Vasari. Sembra che in queste opere della piena maturità, l’artista compisse “una vera e propria revisione delle sue esperienze, verso un rigoroso e astratto revival classicistico” [17].

save0086-2

Fig.6 L. Agresti, Sacra Famiglia Pelucchi

la-ss-trinita-con-tre-pellegrini-e-tre-confratelli-dopo-02

Fig.7 L. Agresti, SS. Trinità dei Pellegrini (partic.)

Concludendo, in mancanza di documenti e di altre fonti , il nome di Livio Agresti quale autore della grande pala, resta un’ipotesi attributiva.

[1]  C. Cancellieri in Il palazzo del Commendatore del Santo Spirito, cura di L. Cardilli, Roma 1998, p.96,n.21.

[2] Nell’inventario dei beni dell’arciconfraternita del 1564 sono citati <<Uno stendardo della SS. Trinità>> e <<Una Trinità dipinta allo Spedale delle donne>> che potrebbero essere affreschi. In Archivio di Stato di Roma, Trinità dei Pellegrini, b. 440); nell’inv. del 1576 <<Robbe in guardaroba: un quadro della SS. Trinità>> e << nella corsia della SS. Trinità […] un quadro grande con la SS. Trinità, senza cornice e un quadro grande di altare con la SS. Trinità con cornice tinta di noce profilata d’oro>>; ed infine <<due stendardi intorno all’altare dell’infermeria con l’immagine della SS. Trinità da portarsi in processione>>; nell’inv. del 1585 è ricordata <<una Trinità in camera di Ms. Antonio dispensiero>> e <<un ottangolo con la SS. Trinità, con cornice dorata>>. Nel 1620 (ibidem, b.118,ff.23ss)nell’<<Inventario delli beni nelle stanze dell’Arciconfraternita. Nel primo refettorio […] Una Trinità grande in tela […]; all’altare c’è un Crocifisso e due portiere con l’immagine della SS. Trinità>>. Nell’inv. del 1650 la pala è ricordata allo stesso modo; poi <<nella stanza del lavatoio delle donne: un quadro in tela d’imperatore con la SS. Trinità, con cornice negra profilata d’oro; un quadro con la SS. Trinità con cornice come sopra>>. Nel Refettorio di S. Filippo Neri si trova <<un altare di legno, un quadro con la SS. Trinità con S. Filippo e fratelli, con cornice dorata; baldacchino sopra detto quadro di tela dipinta>>. Di questa tela perduta esiste un’incisione, da datarsi post 1622, per la presenza del santo. Ancora <<nel refettorio grande: un quadro tondo con la SS. Trinità fratelli e pellegrini>>. Nell’inv del 1828 <<Provveditoria di Chiesa>> si legge:<<n. 11 un quadro grande della SS. Trinità con sua cornice colorata […] n. 50 camera inferiore – un quadro grande della SS. Trinità con cornice d’oro falso>>. Infine nell’elenco del 1838 (ibidem, b. 1271) è annotato:<< Dormitorio di S. Filippo – in mezzo del dormitorio un altare di legno con due gradini[…] un quadro rappresentante la SS. Trinità con fratelli e pellegrini>>.

[3]Negli anni che ci interessano si trovano pagamenti a Fedele Vannicelli pittore alla Chiavica di S. Lucia <<per tante crocette et vasetti et mazze>> (dal 1570); a Ottavio pittore per <<arme>> (1572-1573); a Giovanni Gigli <<per aver messo a oro e depinto la Trinità ne la cornice della tavola dove si hanno da scrivere li oblighi della Compagnia>> (1573) a Pandolfo pittore per <<arme>> (1573); a Vincenzo Stella per lo stendardo dei pellegrini, per quello dei convalescenti e per la pittura del cataletto (1574-1575); ad Antonio Tronfarello per la manifattura delle <<pitture et arme fatte nella festa della Trinità>> (1575); in ASR, TP, b.1066, Uscite, ff. 29r, 36r, 77r, 95r, 100r; b. 1189, Uscite, f. 8r)

[4]L. Russo, Marcello Venusti pittore lombardo, in Bollettino d’Arte LXXXV, 1990, pp. 1-26 ed in particolare p. 18, fig. 22.

[5] Il Giubileo del 1575 fu il più importante nella storia dell’Arciconfraternita, ormai in grado di accogliere al meglio pellegrini e convalescenti, sotto la guida costante ed amorevole di Filippo Neri. Nel giro di pochi anni la fama ed i riconoscimenti, tra cui quelli elargiti da papa Gregorio XIII, erano aumentati. Narra il Muratori che per questo anno santo l’ospizio aveva alloggiato circa 100.000 uomini, 20.000 donne e 60.000 convalescenti, oltre a numerose congregazioni associate italiane e straniere. Cfr. V. Prinzivalli, Gli Anni Santi, Roma 1899, p. 74.

[6] Nel 1537, dopo gli studi condotti all’Università di Bologna, dove aveva stretto amicizia con Alessandro Farnese, il Truchsess era venuto a Roma per ricevere da papa Paolo III Farnese l’ambito titolo di camerarius secretus ; nel 1542 veniva inviato come nunzio alla corte di Carlo V ,nell’ambito dei contatti politici in previsione del Concilio di Trento . In seguito al successo ottenuto, il pontefice lo nominava vescovo di Augusta ( 1543) e, l’anno successivo, cardinale. A sua volta l’imperatore lo eleggeva mediatore tra l’Impero ed il Papato e, nel 1558, lo dichiarava cardinale protettore di Germania. Assai vicino spiritualmente al pensiero di S. Ignazio di Loyola,nel 1552 partecipava a Roma alla fondazione del Collegio Germanico.

[7] ASR, TP,b. 87, Decreti 1552-1573, ff. 21v-22r. Per il Cardinale di Augusta si veda M.Nicolaci, Il cardinale d’Augusta Otto Truchsess von Aldburg ( Mecenate della Controriforma, in Principi di S.R.C.. I Cardinali e l’Arte, a cura di M.gGllo, Roma 2013, pp. 31-42, con bibliografia precedente.1514-1573)

[8] Nei primi decenni di esistenza la compagnia, avendo avuto come scopo precipuo quello di creare dei luoghi idonei alla svolgimento dei compiti, di certo non avrebbe potuto stornare dei fondi per un quadro. Per conoscere le ingenti somme spese per la costruzione e l’adattamento dei vecchi locali, realizzati durante tutta la seconda metà del XVI secolo, si veda A.M.Pedrocchi, La SS. Trinità dei Pellegrini in Roma. Maestranze artigiane attive dal 1550 al 1630: novità e precisazioni, Roma, gennaio 2016, pubblicato nel sito annamariapedrocchi.it.

[9] G.Balass, Taddeo Zuccaro’s fresco in the apse-conch in S. Sabina, Rome, Assaph, IV, 1999, pp. 105-124

[10] Principi di S.R.C.. I cardinali e l’arte, a cura di M. Gallo, Roma 2013, p

[11] M. Pupillo, La SS. Trinità dei Pellegrini di Roma. Artisti e committenti al tempo di Caravaggio, Roma 2001, pp. 102-103.

[12] G. Baglione, Le Vite, Roma 1642, pp.19-20; successivamente parla di lui lo Scannelli citando anche le sue opere realizzate durante il soggiorno in Germania, per il cardinale di Augusta:<< dove lasciò l’opere della migliore età, come a noi promettono, anco di lontano, i rari intagli delle stampe e di tal sorte sono l’Historie dell’inventioni delle croci, della resurrezione di Christo, et altri simili pensieri veramente straordinari degni d’osservatione e di lode>> in Il microcosmo della pittura, Cesena 1657, pp. 189-19; Il Palazzo del Commendatore di Santo Spirito, op. cit., 1998,pag.89, n. 12.

[13] Per il cardinale realizzava la decorazione ad affresco della cappella nella Torre di Dillingen, sede vescovile della città di Augusta.

[14] Il Vasari, che lo aveva diretto nel cantiere di Palazzo Vecchio a Firenze nel 1565, al rientro dalla Germania, ne da un giudizio benevolo: “buono e fiero disegnatore, pratico coloritore, copioso ne’ componimenti delle storie e di maniera universale”, in riferimento alla sua disponibilità ad adeguarsi alle richieste dei più diversi committenti, cosa che dimostra talvolta i limiti dei suoi risultati artistici; in G. Vasari, Le Vite, ed. Milanesi, VII, Firenze1881, I, pp. 421-422.

[15] I precedenti iconografici di ascendenza medioevale erano numerosi: Mariotto di Nardo, fine XIV sec.; Masaccio, 1426-1428; Andrea del Castagno, 1453; Dürer, 1511; Andrea Previtali, 1517; Jacopo Bassano, 1547; e molti altri esempi.

[16] M. Moroni Lumbroso -A.Martini, Le confraternite romane nelle loro chiese, Roma 1963, p. 426; S. Vasco Rocca, La SS. Trinità dei Pellegrini, Roma 1979, pp. 7-12

[17] C. Strinati, La tavola Pelucchi di Livio Agresti, in Prospettiva 1977, pp. 69-72. Per l’attività dell’Agresti si veda M.G.Bernardini, Livio Agresti detto il Ricciutino, in L’Oratorio del Gonfalone a Roma, a cura di M.G. Bernardini, Cinisello Balsamo, 2002, pp. 66-73; per i lavori a Tivoli ed al Gonfalone si veda P.Tosini, Presenze e compresenze tra Villa d’Este e il Gonfalone, in Bollettino d’Arte, 132,2005, pp.43-58; S. Macioce,” L’Ultima Cena” di Livio Agresti e Gaspare Loarte. Ideazione e diffusione di un tema iconografico, ibidem, pp.59-72.

 

Lascia un commento